All’omaggio universale per il papa gallo, cioè per il pontefice più sprint, smart, easy della storia si sono sottratti in pochi. Di questi opinionisti bastiancontrari, la quasi totalità si è concentrata sull’aspetto più evidente del pontificato di Bergoglio e cioè la simpatia suscitata urbi et orbi. Invece meritano di essere approfonditi anche altri due fattori, che neppure i renitenti all’elogio hanno indagato. Per completezza, prendiamoli in esame tutti e tre, partendo dal primo, notato dalla pubblicistica meno prona e sintetizzabile come ‘piacioneria’. Francesco piace da matti a tutti, a tutte le latitudini e a tutte le culture, a tutti i generi e a tutte le età, a tutti i credenti e a tutti i non credenti, agli atei e agli agnostici, ai progressisti moderati e ai moderati conservatori. Piace a Eugenio Scalfari che lo intervista e a Evo Morales che lo strumentalizza, a Diego Maradona che lo incoraggia e a Elton John che lo idolatreggia, piglia consensi a destra e a manca, a babordo e a tribordo, di punta e di tacco. Che c’è di strano, direte? Intanto, che è il vicario di un Cristo che promise la ‘guerra’ («Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!»), lo stesso di cui il vegliardo Simeone, stringendolo tra le braccia da bambino, predisse che sarebbe stato «un segno di contraddizione». Ora il leader in carica di un cristianesimo nato per spaccare e discernere ambisce a un abbraccio unanime e narciso. Papa Francesco narcisista? Sì, perché nel mondo si specchia e dal mondo è rispecchiato, un prisma dalle mille facce riflettente la faccia di ciascuno. Delle due l’una: o il mondo si è integralmente convertito alla Parola, oppure l’araldo della Parola si è convertito al ‘mondo’. Poco male, direte. Non c’è forse in ogni tradizione religiosa l’esempio di un trascendente, di un ‘immateriale’, di un’essenza o entità oltre umana che pratica la dote del compiacimento e della lusinga? C’è, ma non risponde alle caratteristiche di quel Cristo che si fece crocifiggere profetizzando persecuzioni per causa sua a chi si fosse affrancato dalla corrente dei valori mondani per scommettere tutto su qualcosa d’altro e di diverso. Forse ci troviamo davanti al papa meno cristiano di sempre e se questo è motivo di stupefazione per chi cristiano non è o anti-cristiano si sente, è ragione di disagio per chi si ostina a volerlo restare o, magari, diventare. La seconda caratteristica del presule argentino venuto dalla fine del mondo è la suadente insistenza nel porsi ‘alla pari’, nello scendere dai piedistalli, nel privarsi delle insegne del Comando. Bergoglio non ha fatto nulla di concreto per rendere la Chiesa realmente più povera, ma ha saputo lavorare sui simboli che parlano alla pancia della gente. È un’altra attitudine difficilmente resistibile per l’uomo della strada, un atout maramaldo, evocativo di suggestioni ‘francescane’ e un assist al bacio per la sua gremitissima claque. Lo abbiamo guardato camminare con la valigetta ventiquattr’ore sul selciato di San Pietro, lo abbiamo sentito, all’atto dell’investitura, rivendicare la carica (sminuita e sminuente) di vescovo romano, lo abbiamo visto ammiccare dallo schermo di una tivù di cartoons in prossimità del quattro ottobre sotto lo slogan: auguri Francesco! Il pontifex maximus ridotto a iconcina tipo Fonzie di Happy days. E la voce fuori campo pigolava all’indirizzo dei bimbi all’ascolto incitandoli a omaggiare l’onomastico del Pope con un tweet, un selfie, un accidenti di riscontro digitale. E allora? Allora ci è toccato in sorte un superpapa o un papaman refrattario alle tiare e agli incensi, ai pulpiti e ai troni, umanissimo compagno di cordata. Umano o troppo umano? Accendere la seconda non è un errore, forse. Provate a chiedervi perché nell’era più antidemocratica di ogni tempo, dove cupole sideralmente lontane e non elette manipolano l’esistenza delle masse, ci viene proposto un papa pacioso, ilare, perdonante, avvolgente, modaiolo. Il papa buono al cubo, per così dire. Non a caso è il primo papa bis del Cristianesimo. Come Gesù che è generato e non creato, lui è affiancato e non subentrato al suo predecessore, tignosamente proteso a comprimere tutto ciò che elevava il suo ruolo ai Cieli e ad espandere tutto ciò che ora può trascinarlo a Terra. La sua mission è spogliarsi di ogni prerogativa regale e di ogni simbolica potestà. Il paradosso attuale è che, mentre il potere civile sfugge definitivamente di mano ai cittadini, ai fedeli Francesco consegna lo scalpo del potere religioso. È un bene, protesterà il solito puro, è un segno, anzi il Segno del pauperistico ritorno alle radici della Fede, la parusia di ciò che l’ecclesia doveva essere e non è mai stata. Può darsi, omnia munda mundis, ma dov’è finito il Cristo Re, il Signore, il Buon Pastore di cui il chierico vestito di bianco dovrebbe essere l’effige, dinanzi al quale principi e dominazioni fletteranno il ginocchio? C’è qualcosa di storto o di obliquo nella frenesia pontificia di smantellare i simulacri, le rare tracce diciamo, dell’ultima monarchia ultraterrena. Terzo aspetto: quanto giova ai fedeli un papa così ecumenico e progressista, alfiere del pensiero debole e della parola minuscola, incapace di imporre dogmi e capacissimo di proporre mediazioni, alla stregua di un qualsiasi filosofo laico o di un sindacalista dei valori. Francesco parla, a braccio, di misericordia e tolleranza e allarga le maglie di ciò che è permesso stringendo quelle di ciò che non lo è. La sua è la morale lasca e pilatesca che tutto stringe e stinge in una sagra bonacciona. Ma, soprattutto, che se ne fanno i fedeli di un papa così ecumenico e mondiale, allineato con gli opinion leaders, cui preme a tal punto la comunione ai divorziati da convocarci un sinodo? Ha buttato il braccio lungo della croce e si é tenuto quello corto. È ben vero che un papa ‘orizzontale’ è il perfetto portato di tempi come i nostri, sdraiati, semi morti, appiattiti e senza stelle, ma la nostalgia serpeggiante in chi crede, o vorrebbe farlo, è quella di un papa ‘verticale’ che parli di ciò che i papi, da tempo, discorrono a fatica. Non di divorziati, separati, omosessuali, comunioni, lavoro, libertà, uguaglianza e fraternità, ma dell’uomo dio che ha vinto la morte. Cioè di un argomento messo al bando dalla top ten delle preferenze vaticane e dalla più recente retorica sampietrina. Eppure è l’unica cosa che conta, se ci pensate. Il cuore del messaggio cattolico è la resurrezione dei corpi, il sorpasso, sul filo di lana, dell’ancestrale paura del dopo, che dà senso e sostanza alla vita perché promette che la vita non chiude con due briciole di ossa in una cassa. Tutto il resto è già stato detto, da tanti altri (Francesco compreso) prima, durante e dopo Cristo. Ciò che rende il messaggio cristiano unico, scandaloso, dirompente, scaturigine di speranza e di mistero, è la garanzia della nostra personale coscienza non estinta, trapassato il confine, non tramigrata in altri corpi secondo la terrificante visione orientale, non dissolta nell’indistinto per i non toccati dalla gnosi. È un’assicurazione di riscatto dal più atroce dei dilemmi. Ma papa Francesco ha altri pensieri per la testa, più urgenti, più pressanti, più a la page. È un papa illuminista con un carisma luminoso e quindi non perde tempo con un concetto così superstizioso e poco trasversale come la resurrezione. Però è molto fico, questo sì, un papa pop avviato a mietere successi planetari, a seminare un cristianesimo intriso di aperture e common sense, di morbidezze dispensate con la rotondità zuccherosa del suo accento arghentino, rilassante, accogliente, premuroso, quanto un’attrezzata spiaggia tropicale. Benvenuti al Cristo Resort.
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