Letta sul tavolino del salotto d’attesa di una banca in attesa, appunto, di accedere alla cassa: Documenti di trasparenza – disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – correttezza della relazione tra intermediari e cliente. Cos’è? Il titolo di un raccoglitore di prestampati e brochure e moduli destinati a informare il cliente dell’istituto di credito di quanto quell’istituto tiene a lui e alle tavole della legge, compreso il famoso comandamento (non dire falsa testimonianza) che compendia entrambi i valori di cui sopra: trasparenza e correttezza. Per poco non mi veniva un colpo. Magari sono un bacchettone, moralista, ma capite bene che leggere un invito, anzi un proclama autoreferenziale, alla correttezza e alla trasparenza in una banca è come udire una triviale bestemmia sotto la volta di un chiostro. Il sistema bancario, da sempre, è la quintessenza dell’opacità omertosa su cui si reggono buona parte delle tare del sistema: dal mistero gaudioso della creazione del denaro a quello della riproduzione virtuale di esso a quella del furto di beni solidi e reali in cambio di valori fittizi alla pratica legalizzata dell’usura. La banca è un po’ la taverna di Mefistofele dell’Evo Competitivo. Non c’è nulla di meno trasparente e di più arcano, al giorno d’oggi, dei meccanismi che disciplinano la genesi e la circolazione dei soldi. Ergo, non c’è nulla di più esilarante che veder vantare bibliche virtù, come la trasparenza e la correttezza, nelle anticamere dei suoi sportelli. Per dire, ier l’altro ho chiesto a un dirigente di banca se mi sapesse spiegare, da specialista, chi diavolo stampa le banconote, in virtù di quale legittimazione e con quali modalità. Risultato: balbettii assortiti e assordante rumore di unghie grattate sui vetri. Tra i borborigmi di contorno ho percepito a stento le parole zecca, bce, tipografia e banca statale. Ma ai livelli alti, dove ragionano le menti più acute, non va tanto meglio. Durante una trasmissione televisiva di prima serata, un supposto esperto ha così replicato a una signora giustamente indignata per le evidenti storture del sistema monetario: dove crede che crescano i soldi, sugli alberi? Il conduttore ha perso l’attimo fuggente o, forse, non ha voluto vederlo per non dover fare il gol del secolo (e magari venire licenziato). Era il momento giusto, idealmente perfetto, per porre all’Einstein in studio una contro domanda: “Ha ragione, i soldi non crescono sugli alberi, ci dica lei, ci spieghi da dove saltano fuori?” Peccato! Passato il santo, passato il miracolo. Anche perché c’era un altro Mister Smith in linea a redarguire la telespettatrice dicendole che, salvando sistematicamente le banche, anteponendone regolarmente gli interessi a quelli dei poveri cristi non conniventi con la loro rete, il Governo, dopotutto, fa gli interessi di tutti noi in quanto titolari di un conto corrente. Dopodiché sono uscito di casa, sono tornato nella filiale dove c’era il sacro tomo di cui sopra e ho giurato a tutti gli dei in ascolto che mi sarei applicato di più se mi avessero illuminato con trasparenza e correttezza. Ma non mi hanno risposto. Forse non sono abbastanza stupido.
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