Da un interessante articolo di Silvana De Mari apprendiamo un dato degno di riflessione a proposito dello spauracchio nazionale chiamato ‘femminicidio’. Avete presente, immagino, quel mostruoso fenomeno che turba i sogni della collettività nazionale al punto da esigere interventi delle massime cariche istituzionali, marce compatte delle neo femministe di ritorno, accorati appelli di uomini e donne di cultura. Bene, la media annua di donne assassinate è di 140, quella di uomini assassinati è di 400. Come la mettiamo? Se la violenza sulle donne si è tramutata in un’emergenza tale da esigere addirittura il conio di un nuovo lemma della neo-lingua dei manipolatori di professione (‘femminicidio’, appunto), come dovremmo chiamare la mattanza dei maschi (uccisi in una proporzione quasi tripla rispetto alle femmine)? ‘Maschicidio’? Fa ridere, vero? ‘Maschicidio’ non si può sentire, dai. È una vaccata. Giusto. Non ha senso e ripugna alle orecchie perché ci risulta offensivo pensare a una dicitura apposita per la morte degli uomini da contrapporre a quella dell’eccidio delle donne. Come se ci fosse un omicidio di serie A (il ‘maschicidio’) e uno di serie B (il ‘femminicidio’). Proviamo repulsione perché si tratta di una distorsione linguistica inaccettabile sul piano di quel principio di uguaglianza che, di fronte al dramma della morte violenta, non fa distinzioni né di sesso né di razza. Così come sarebbe ridicolo parlare di ‘nericidio’ e di ‘bianchicidio’ a seconda che sia assassinato un nero o un bianco. Quando, per mano altrui, muore un essere umano, la parola giusta è ‘omicidio’. Essa dovrebbe bastare e, in cuor nostro, non appena ci desintonizziamo dalle onde lunghe dell’ipnosi collettiva veicolata tramite i media di massa, lo sappiamo bene. Ma allora perché il femminicidio è diventato una moda? Di più: un autentico status symbol lessicale che – se non lo usi, se non ti schieri, se non lo fai tuo – minimo ti considerano un misogino retrivo e incolto così come una volta chi non aderiva al grido “l’utero è mio e me lo gestisco io” era un porco maschio sciovinista. La spiegazione è semplice: il femminicidio non esiste, è un’invenzione bella e buona della Cultura Dominante, quella che crea (sparando coi suoi missili ‘ballistici’ intercontinentali) le balle di fieno che noi si deve ruminare. Il femminicidio è una di quelle balle, una carta moschicida per gli allocchi, un’autentica, ultramoderna arma di distrazione di massa. Coagula attorno a un problema inesistente un enorme consenso-assenso collettivo in grado di distrarre le coscienze di tutti da tutti i veri temi scottanti su cui il popolino non ha da porsi domande. È lo stesso meccanismo del mago truffatore da Mercante in Fiera: attira la tua attenzione sul coniglio del cilindro intanto che il suo complice ti sottrae il portafoglio. Il femminicidio (al pari di molti altri problemi inventati di sana pianta dalla Matrice) è uno dei conigli del ‘cilindro senza uscita’ in cui siamo finiti. Intanto che noi lo fissiamo – gli occhioni sgranati e la faccia ebete – qualcuno seguita a scipparci i veri diritti (politici, sociali, economici) di cui dovremmo essere gelosi custodi.
Nessun Commento