Quante volte abbiamo sentito dire che ormai siamo nella Ue, viviamo nell’era della moneta unica, cioè l’euro e, va da sé, “abbiamo perduto la sovranità monetaria”? Ma è proprio vero? Pochi ricordano che, nella nostra Costituzione, la parola moneta esiste ed è stata introdotta dalla famosa riforma del titolo V del 2001 allorquando venne, tra l’altro, così “arricchito” l’articolo 117 della Suprema Carta: “Lo stato ha legislazione esclusiva in materia di moneta”. Con la stessa riforma, si introdusse nel medesimo articolo, la precisazione che “lo Stato esercita la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Tuttavia, anche i trattati europei incontrano dei limiti, anzi più precisamente dei “contro-limiti” rappresentati, per giurisprudenza granitica del nostro Giudice delle Leggi, dai principii fondamentali (artt. 1-12) e dai diritti inviolabili (artt. 13-54) della suprema Carta. Dunque, anche i trattati europei sono, in qualche modo, subordinati alla Costituzione.
Un tanto premesso, andiamo ora a verificare le date, perché le date, nel diritto, sono importanti.
Orbene, quando l’articolo 117, nell’ottobre 2001, attribuisce allo Stato l’esclusiva in materia di “moneta”, il trattato di Maastricht è già stato stipulato (7 febbraio 1992), l’euro è già a regime sui mercati finanziari come moneta scritturale (1 gennaio 1999) mentre le banconote in euro entreranno, di lì a pochissimo, nelle nostre tasche (1 gennaio 2002). Quindi, il nostro legislatore, quando modifica l’art. 117, sa benissimo che le uniche “banconote” a corso legale sono quelle in euro la cui emissione può essere autorizzata solo dalla BCE.
Ergo, l’articolo 117 della Costituzione non solo ha una forza giuridica superiore ai trattati internazionali in genere e ai trattati europei in particolare, per quanto anzidetto (esso costituisce espressione di un principio fondamentale quale la “sovranità” di cui all’art. 1 della Costituzione declinata sul piano monetario), ma può essere interpretato in una sola, coerente, razionale e logica maniera: e cioè che lo Stato – anche in “costanza” di euro e BCE, e ovviamente nel rispetto di tali realtà – conserva la potestà legislativa in materia monetaria. Ciò significa, tra l’altro, il potere di emettere “biglietti di Stato” o di ricorrere a forme monetarie alternative come la moneta fiscale, cose ben diverse rispetto alle “banconote” la cui emissione è riservata in esclusiva alla BCE dall’articolo 128 del Trattato di Lisbona.
Un’ultima annotazione, sempre di carattere “cronologico”. Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007, quindi “dopo” la riforma dello stesso articolo 117. Non vi è alcun dubbio che lo Stato italiano lo abbia ratificato solo nella misura in cui (e per la dirimente ragione che) lo ha ritenuto pienamente conforme alla inscalfibile sovranità monetaria dello Stato italiano esplicitata dall’articolo 117 della Costituzione e alla correlata esclusiva potestà legislativa attribuita alla Repubblica in materia di moneta.
Se volete, poi, un avallo autorevolissimo sul fatto che non abbiamo perso la sovranità monetaria e che lo Stato può emettere moneta, potete attingere direttamente al sito di Banca d’Italia ove si legge: “Quando è la banca centrale a emettere le banconote (…) queste non sono spese in beni e servizi ma fornite alle banche commerciali, in forma di prestito, per le esigenze del sistema economico, o utilizzate per l’acquisto di attività finanziarie, come i titoli di Stato o le attività in valuta estera; al valore delle banconote, iscritto al passivo del bilancio della banca centrale, corrisponde quindi l’iscrizione di attività fruttifere nell’attivo del bilancio, che rendono un interesse. Perciò la banca centrale ottiene il signoraggio nel corso del tempo, come flusso di interessi sulle proprie attività fruttifere, al netto del costo di produzione delle banconote. Quando la moneta è prodotta dallo Stato, è quest’ultimo che, spendendola ad esempio per acquistare beni e servizi, la mette in circolo nell’economia e realizza immediatamente il controvalore, al netto dei costi di produzione. Oggi il signoraggio viene percepito in prima battuta dalle banche centrali, le quali tuttavia lo riversano poi agli Stati, titolari ultimi della sovranità monetaria. La principale differenza consiste nelle modalità con cui si forma il signoraggio”.
E allora perché lo Stato non esercita questa prerogativa (pienamente compatibile con i trattati)? Perché non c’è la volontà politica di farlo. Ma almeno sgombriamo il campo dall’alibi “legale” così declinato: non si può fare perché c’è la moneta unica. Non è vero. Si può fare e sarebbe legale. Che poi “legale” non faccia per forza rima anche con “opportuno” o “conveniente”, può esser vero. E tuttavia, forse si approssima un’epoca in cui il coraggio e la volontà conteranno ben più dell’opportunità e della convenienza.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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