L’Austria torna ad essere una terra di confine, per noi italiani, sia pure sul piano metaforico. Infatti, la nazione con la quale ci disputavamo, nel ‘15-18, i crinali delle Alpi, oggi per prima – nel vecchio continente – valica la frontiera dell’obbligatorietà vaccinale per tutti. Già moltissimi zelanti cultori dell’ortodossia vaccinale guardano con interesse, e malcelata invidia, a quanto deciso dal Cancelliere Alexander Schallenberg. E tuttavia, potrebbe trattarsi di un abbaglio perché, mai come in una questione di puro diritto, il punto di riferimento deve essere non ciò che fa un altro Paese, ma ciò che dice la nostra suprema Carta. Insomma, dovremmo prendere esempio dai padri costituenti del 1947 più che non dai governanti austriaci del 2021.
Proviamo allora a mettere ordine e a spiegare perché il vaccino anti-Covid potrà essere – allo stato attuale delle cose – al più rubricato al rango di obbligo “morale” (Mattarella dixit), ma mai e poi mai alla stregua di un obbligo giuridico. Partiamo dall’articolo 32 della Costituzione che già mette un bel paletto: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Quindi, solo il Parlamento, a maggioranza, ha facoltà di deliberare in proposito, ma incontra il succitato, non oltrepassabile, limite della dignità umana. Cosa significa esattamente? Lo sa benissimo, e potrebbe spiegarlo al premier Draghi, il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.
A quest’ultima, infatti (più precisamente, al periodo in cui costei era la vicepresidente della Corte Costituzionale), dobbiamo la sentenza nr. 5 del 2018. Tale pronuncia si muoveva, a sua volta, nel solco di una giurisprudenza risalente nella quale si annoverano almeno due precedenti pronunce del Giudice delle Leggi: la numero 307 del 1990 e la numero 258 del 1994. Con la seconda, la Corte ebbe a occuparsi proprio della questione cruciale sul tappeto: fino a che punto si può esigere, da un cittadino, un contegno “solidaristico” – chiamiamolo pure, come il Capo dello Stato, “dovere morale” – a tutela del benessere della collettività? Ebbene, la risposta è inequivocabile.
Tale sacrificio è ammissibile solo se, e nella misura in cui, esso non implichi un correlato e serio rischio per la salute individuale. Altrimenti detto: non è giuridicamente possibile obbligare chicchessia a un trattamento sanitario in nome di una esigenza “pubblica” laddove vi sia il rischio, per il singolo, della perdita della propria salute o della propria vita. La parola chiave è “contemperamento” tra il diritto alla salute del singolo e il coesistente e reciproco diritto di ciascun terzo consociato, nonché di entrambi i diritti con il benessere della collettività nel suo insieme. Da rimarcare che il diritto del singolo va rettamente inteso anche nel suo contenuto negativo: di non assoggettabilità, cioè, di nessun uomo a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati.
Per la precisione, secondo l’insegnamento dei giudici della Consulta, la legge impositiva di un trattamento sanitario è compatibile con l’art. 32 della Costituzione solo a tre condizioni (l’ultima delle quali è la più importante, aggiungiamo noi): a) se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se – nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio, ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità; c) se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili”.
Ora, è sufficiente una lettura dei bugiardini dei prodotti vaccinali anti-Covid più diffusi per avere contezza della gravità (e, dunque, intollerabilità) delle controindicazioni predicabili in caso di somministrazione di tali farmaci. E basta uno sguardo agli ultimi dati del nono rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19, pubblicato il 26 settembre scorso dall’AIFA, per ricevere un’ulteriore inequivocabile conferma. Dal suddetto report emerge che si sono, ad oggi, registrati 101.110 casi di sospette reazioni avverse al vaccino, il 14,4 per cento dei quali gravi. Ma soprattutto, si sono avuti 608 casi di decesso, 16 dei quali sicuramente correlabili al vaccino. Ciò basta a mettere fine, prima ancora di aprirlo, al dibattito sulla fattibilità giuridica di un vaccino anti-Covid obbligatorio in Italia. In tal senso, ancora più chiara e indiscutibile è la motivazione della succitata pronuncia della Consulta, nr. 307 del 1990: “Il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria.
Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”. Il nostro è un ordinamento giuridico liberale e democratico incentrato sulla “persona”, non un regime comunista e dispotico basato sul “collettivo”. Nessuno può essere “chiamato” né, peggio ancora, coartato – neppure sulla base di slogan tanto apparentemente “altruistici” quanto sostanzialmente manipolatori – a “salvare” o “proteggere” gli altri al prezzo di mettere a repentaglio la propria incolumità personale.
A maggior ragione se si tratta di intervenire su soggetti assolutamente sani, giovanissimi e con una prospettiva nulla di morire della nota malattia; ma suscettibili, invece, di riportare pregiudizi fisici irrimediabili, o addirittura fatali, per effetto della somministrazione di un farmaco sperimentale. Per concludere, tutto ciò non ha nulla a che fare con l’egoismo, ma ha moltissimo a che vedere con il liberalismo: una categoria con cui molti degli attuali politici, Ministro della Salute in primis, hanno scarsissima dimestichezza. Siamo un popolo di santi, di poeti, di navigatori. Non facciamoci indurre a credere di dover essere anche un popolo di martiri.
Avv. Francesco Carraro
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