Ho incontrato un militante del PD in crisi di coscienza. Era passato qualche giorno dall’esito infausto del referendum costituzionale e, intuendo le ragioni del suo nervosismo, ho provato a consolarlo incitandolo a pensare al futuro che ‘morto un papa se ne fa’ un altro’ eccetera eccetera. Niente da fare. Era roso da un rancore funesto, da una sorta di sorda e laida sete di vendetta incapace a venir fuori. E proprio in quel torcersi le budella senza poterlo manifestare stava tutto il suo tormento. Così l’ho incoraggiato: ‘Senti, devi fare coming out, devi dire come la pensi, se no ne esci matto’. Lui mi guarda come la Boschi guarderebbe l’articolo Uno della Costituzione e mi dice: ‘Ma tu sei scemo veramente? Ma non si può, non si può, guai se mi sentono i gerarchi. Qui da noi la va così: tutti zitti e pedalare’. Gli ho detto di non esagerare, che la libertà di espressione è la chiave della democrazia, che criticare i propri capi non è un diritto, ma un dovere. Alla fine lui mi ha confessato di avercela a morte con qualcuno dei piani alti, che vorrebbe scrivere una bella lettera al Corriere per dire come stanno le cose, una lettera anonima, però. Così mi ha chiesto di aiutarlo a trovare un termine fuggevole, che non gli veniva proprio, per definire uno che millanta capacità, virtù e successi, senza motivo. Allora, animato di cristiana comprensione per il suo stato emotivo precario mi sono messo seduto e ho cominciato a proporre sinonimi: fanfarone? ‘No, troppo antiquato’; spaccone? ‘No, troppo comune’; ciarlone? ‘No, troppo gergale’; cicalone? ‘No, troppo difficile’; linguacciuto? ‘No, troppo offensivo’; buffone? ‘No, troppo esplicito’; cicala? ‘No, troppo ecologico’; pallone gonfiato? ‘No, troppo metaforico’; gradasso? ‘No, troppo untuoso’; millantatore? ‘No, troppo letterario’; guascone? ‘No, troppo ottocentesco’; chiacchierone? ‘No, troppo parrocchiale’; ballista? ‘No, troppo volgare’; contaballe? ‘No, troppo popolare’; cacciaballe? ‘No, troppo populista’; contafrottole? ‘No, troppo fumettistico’; parolaio? ‘No, troppo giornalistico’; ammazzasette? ‘No, troppo puerile’; borioso? ‘No, troppo aristocratico’; bullo? ‘No, troppo scolastico’; rodomonte? ‘No, troppo ariostesco’; sbruffone? ‘No, troppo leggero’; smargiasso? ‘No, troppo obsoleto’; spaccamontagne? ‘No, troppo desueto’; vanaglorioso? ‘No, troppo curiale’. Alla fine, esausto, ho sbottato: “Cazzaro, caz·zà·ro, aggettivo e sostantivo maschile”. L’iscritto si è illuminato in viso ed è corso via saltellando: “Sì, sì, sì, sì, sì, sì!” ha urlato in preda all’euforia e – voltandosi e salutandomi a mano aperta – ripeteva: “Sì, sì, sì, sì, sì, sì! Grazie, grazie, ecco cos’era, ecco cos’era. Cazzaro! Cazzaro! Ce l’avevo sulla punta della lingua. Sì, sì, sì, sì, sì, sì!”. Ho sorriso beato: che bello fare una buona azione. È proprio vero, ci vuole poco per essere felici. Certe volte basta un sì.
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