Parliamo dell’Ape, l’anticipo pensionistico, che ci divertiamo un po’, dai. Dunque, sembrava fosse una mera minchiata ferragostana sparata in anticipo per vedere l’effetto che fa. E siccome nessuno più che tanto si è meravigliato l’hanno poi fatta davvero. Una misura così smisuratamente imbecille, prima che iniqua, che avrebbe stonato pure in un qualsiasi cinepanettone anni novanta. Per far ridere le battute devono avere un minimo margine di credibilità, altrimenti la vis comica si azzera. E l’anticipo pensionistico messo in trama a un Renato Pozzetto o a un Paolo Villaggio avrebbe strappato meno sorrisi di una scoreggia in ascensore o di un rutto al pranzo di natale. Quale regista avrebbe potuto ipotizzare che un povero cristo, all’esito di una vita a tirare la catena di un lavoro spesso usurante e comunque frustrante, avrebbe dovuto restituire a rate la legittima pensione dopo averne beneficiato con qualche mese d’anticipo? E invece, amici miei, è tutto vero, lo hanno fatto. L’Ape è un’altra delle mitiche riforme strutturali sfornate dal governo dei Poteri Morti. E la filosofia di fondo che ne innerva la struttura è di una lineare semplicità perché traduce in norma il comandamento primo, e anche ultimo, dell’Evo competitivo: indebitare le masse per garantire ritorni costanti al capitale (investito e prestato). Il debito è la cifra di tutto l’ambaradan ed è per questa ragione che siamo arrivati alla follia istituzionalizzata dell’Ape. Ti devi indebitare pure per andare in pensione cioè per usufruire di quello che, al tempo dei nonni e dei padri, era considerato uno dei tanti diritti intangibili. Ma non vale mica solo per gli anziani. Già ora, sempre grazie al rottamatore, gli adolescenti italiani devono prestare, gratis, 450 ore delle loro vacanze alle imprese. Lo chiamano stage formativo, ma, di fatto, è offerta di manodopera a costo zero. E c’è del metodo anche in questa pazzia: se Pierino non si adegua, cioè non accetta di patire fin da subito lo sfruttamento (che poi gli toccherà in sorte da grande a prezzo vile anziché gratuito) egli viene penalizzato di brutto. Nel senso che accumula debiti formativi. Torniamo sempre lì. Finita la società dei diritti, siamo entrati a gonfie vele in quella dei doveri. Infatti, la radice etimologica latina di debito è proprio debere (id est essere obbligato). Se vuoi campare ti devi indebitare. Persino il reddito di cittadinanza, se mai venisse istituito da un governo come questo, subirebbe la stessa sorte. Presterebbero ai cittadini le mancette, con l’obbligo civico di restituirle a rate agli istituti di credito (i soliti insospettabili beneficiari di qualsiasi manovra consimile) a costo di farne gravare il peso sulle generazioni a venire. Del resto, se i mercati sono i nuovi dei e la merce è l’unica categoria dotata di senso, se la cosificazione dell’essere (anche e soprattutto umano) raggiunge i livelli attuali, è normale che la facciano da padroni non più i diritti naturali delle famose dichiarazioni universali, bensì i doveri artificiali, cioè proprio i debiti prescritti per legge. Anche la vita si è trasformata in una partita doppia dove ti è concesso di nascere, di crescere, eventualmente anche di invecchiare, purché tu ti impegni a restituire a rate il privilegio di esistere.
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