Il World Economic Forum di Davos è uno di quegli eventi, diciamo pure uno di quei “brand”, dei quali è difficile occuparsi senza rischiare accuse di complottismo. Al pari del nome di Klaus Schwab, promotore e massimo esponente della relativa fondazione e di alcune sue teorie sul futuro (confronto il cosiddetto “Grande reset” proposto dal Wef nel maggio 2020). Un po’ come il “Gruppo Bilderberg” o la “Commissione Trilaterale”. Tutti consessi effettivamente esistenti, periodicamente convocati, ma assai poco seguiti e tantomeno raccontati dai media generalisti. Al punto da esser diventati – a dispetto della loro ufficialità – nomi “sintomatici”, anzi paradigmatici addirittura, delle peggiori cose abitualmente rubricate sotto la voce “cospirazionismo”, appunto.
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