Tre articoli pubblicati quasi in contemporanea sui siti del Giornale e del Fatto Quotidiano e un libro-denuncia del 2013 segnano un cambio di passo nella presa di coscienza collettiva di come (forse) va il mondo. Nel primo contributo, di Marcello Foa, il noto opinionista si interroga sul fenomeno Ebola e invita il lettore a nutrire dubbi sul come, sul quanto e, soprattutto, sul perché la stampa mainstream ci stia angosciando con l’asserita gravità del contagio. Foa, onore al merito, si è accorto che c’è una smisurata sproporzione tra gli allarmi apocalittici delle istituzioni internazionali e la spasmodica attenzione dei media, da una parte, e i numeri ridicoli del fenomeno dall’altra e si chiede quali siano i secondi fini dietro questa cagnara senza precedenti, auspicando una conseguenza: “Magari, per una volta, chiederne conto ai responsabili”. Sul Fatto, invece, Roberto Marchesi, politologo e studioso di macroeconomia, si domanda se la depressione che ci soffoca da sei anni non sia casuale, ma lucidamente voluta dai poteri forti e aggiunge: “Non essendo possibile pensare che a quei vertici ci siano degli sprovveduti, bisogna per forza concludere che ad essi va bene così”. Il terzo pezzo, di Giampaolo Rossi, è il più significativo dei tre, per quello che ci preme sottolineare. L’autore, dopo aver ricordato che gli analisti del Daily Bell (una rivista web americana) erano stati accusati di complottismo, nel 2011, per aver osato contestare la genuinità delle rivoluzioni della primavera araba, evidenzia come l’Isis sia una sorta di mostro in provetta sintetizzato dalle agenzie di intelligence occidentali con lo scopo di destabilizzare il Medio Oriente e confessa: “Insomma, la sensazione è che stavolta quelli che chiamano ‘complottisti’ hanno avuto ragione”. Finiamo con il libro (“I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”) di Ferdinando Imposimato, edito da Newton Compton, dove l’ex giudice istruttore del processo Moro (non quindi un blogger border line), fornisce le prove che lo statista democristiano non fu ucciso nonostante gli sforzi di salvarlo, ma fu ucciso nonostante i vertici dello stato ne conoscessero la prigione. I quattro casi citati dimostrano come il processo di risveglio delle consapevolezze abbia superato la soglia critica, e carsica, del ‘privato’ e stia confluendo in un alveo superficiale e pubblico, contagiando anche le penne migliori e le più fini intelligenze dei mezzi di comunicazione ortodossi. Insomma, forse stiamo assistendo agli esordi di una epifania epocale: le prime crepe nell’ottusa e imperforabile corazza del non-plottismo. Dicesi non-plottismo quella psicotrappola micidiale che, per anni, ha impedito e ancora sta impedendo alla gente di prendere contezza del livello di dolosa mistificazione della Grande Storia in cui si innestano le piccole storie di ciascuno di noi. Ma chi mistifica? I detentori del potere finanziario con-tengono anche quello mediatico e, nel villaggio globale, se piloti le catene di produzione di news governi anche i pensieri delle persone e la loro ’Idea del mondo’. Per paradosso, in un sistema esponenzialmente ipercomplesso e inestricabilmente interconnesso come quello attuale, in cui le notizie viaggiano al battito di un bit, è più facile plasmare le coscienze perché tutte le coscienze, in simultanea, si abbeverano allo stesso pozzo e pascolano dalla stessa greppia. La gran parte dei giornalisti non lavora più sul campo, ma si informa dalle agenzie di stampa che hanno monopolizzato le scaturigini della nostra sete di sapere. Così, qualsiasi evento, appena accaduto, riceve l’imprinting del ‘ciclostile’ di chi veicola la notizia che, a sua volta, spesso è compartecipato (o posseduto) da colui che ha ‘agevolato’ o addirittura generato il fatto. Poi la novella, impacchettata e infiocchettata, viene ripetuta dai mezzobusti di mezzo mondo finché diventa moneta corrente della vulgata ufficiale. Ciò ha fatto sì che la storia degli ultimi decenni sia stata raccontata come una dolce fiaba della buona notte nell’ignavia sonnolenta dei più. Da questa pastoia di interessi non confessabili, di fusione delle centrali di informazione e di placida rassegnazione del pueblo, è nato il non-plottismo. La sua funzione principale è di far credere che il mondo sia ‘di default’ buono, che le vicende stiano esattamente nei termini in cui vengono riportate (del resto, ti ammonisce il non-plottista, come potrebbe essere altrimenti con il numero di canali tivù a disposizione?), che ci sia una parabola intrinsecamente onesta e volta al bene a contrassegnare la traiettoria delle umane sorti (la diffusione della democrazia, il nuovo ordine delle cose, il progresso scientifico, la promozione dell’uguaglianza di genere, di credo, di lingua e di pensiero) occasionalmente incidentata da qualche cattivo (i terroristi, i fanatici islamici, i populisti, gli antagonisti, i regimi corrotti e totalitari). Miliardi di persone sono non-plottiste perché mettere in discussione l’impalcatura di comodo di ciò che chiamano ‘realtà’ manderebbe in frantumi il loro stesso equilibrio mentale e la loro intera esistenza. Il cliché del non-plottismo fa sì che ogni accadimento sia incasellato, fin dal suo spaccio originario, nella trama ‘di default’ trasparente e sana di cui sopra. Ecco allora che i protagonisti della favola piroettano sul proscenio della cronaca pronunciando le loro battute, approntando le loro tavole rotonde, ammannendo le loro dichiarazioni di prammatica. Pensiamo solo a quelli nominabili senza essere tacciati di cospirazionismo: l’O.N.U., il F.M.I., la U.E., la Commissione europea, Obama, Merkel, Draghi, Van Rompuy, Cameron, Hollande, Renzi e via rimpicciolendo. Questi sono i buoni. Poi ci sono i cattivi: la Russia, Putin, la Corea, la Siria, gli estremisti, i black bloc, il terrorismo islamico, l’Isis, l’Ebola. Chi non si allinea e si ostina a usare la testa anziché impiegarla come reggi berretto è liquidato con un’alzata di spalle dal non-plottista supercilioso che, col candore ingenuo dell’idiota di Dostoevskij,è così compreso nel proprio ruolo di onorevole cittadino di Topolinia da non poter neanche lontanamente sospettare di esser divenuto una colonna portante di Gotham City. D’altro canto, il mastice del non-plottismo è tanto ‘stucchevole’ e a presa rapida proprio perché dispensato a piene mani da chi dovrebbe informarci. Ricordatevi di quando i giornali italiani ci intrattennero, men che sfiorati dal dubbio, con la barzelletta secondo cui Osama Bin Laden era stato catturato dopo anni di fughe rocambolesche, ucciso e ‘sepolto’ nell’oceano dalla marina U.s.a. con tanto di rito islamico. Era una notizia così comica da meritare il posto d’onore tra gli sketch di un film di Gene Wilder. Eppure Corrierone & Company la ‘passarono’ e i loro lettori la digerirono. È pericoloso il non-plottismo? È letale, visto lo stato ipnotico che induce, se pensiamo al mezzo milione di bambini iracheni morti per l’embargo U.s.a (che, per l’allora Segretario di Stato di Clinton, MadeleineKorbelAlbright, era un prezzo accettabile) o ai milioni di vittime della guerra successiva ‘facilitata’ dalla più criminale truffa della storia (le inesistenti armi di distruzione di massa). Ma non crediate di liquidare il non-plottista con l’arma del razionalismo scettico, quell’approccio che mette sistematicamente in forse le verità ‘ufficiali’ quando si accorge che, sistematicamente, le verità ufficiali fanno acqua da ogni poro. Il problema vero non è il non-plottista, povero cucciolo indifeso, ma il muro di cemento armato del non-plottismo. Ecco perché, i quattro interventi di cui sopra sono importanti: per il prestigio e la credibilità dei loro autori. Testimoniano che la poderosa cinta non è inscalfibile, anzi mostra le prime crepe. Se mai quei bastioni implodessero, dovremmo forse misurarci con l’impensabile, che cioè l’attuale teatro delle vicissitudini umane è ‘di default’ cattivo e che, se anche i cattivi non sono buoni, i buoni sono però cattivissimi.
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