Se potete, raccogliete una buona parte dei titoli di apertura dei grandi, ma anche piccoli, giornali italiani del giorno appresso l’addio di Trump. Li ritagliate, ci ricavate un bel collage e li appendete in una bacheca in bella vista da guardare la mattina, prima di andare al lavoro. Si chiama terapia del buonumore. Ridere fa bene alla salute, distende i nervi, rilascia le endorfine. E vi assicuro che molti di quei titoli, per non parlare degli editoriali a corredo, non fanno solo ridere, ma sganasciare. Da rotolarsi proprio sul pavimento.
È l’effetto catartico della comicità involontaria, la migliore, la più efficace. Quando, cioè, qualcuno – tutto compunto e compreso nella propria pomposa serietà – si rende invece ridicolo. Ecco, di tutto ciò, la rassegna stampa del dopo Trump è una maestosa carrellata: l’annuncio dell’Alba di Democrazia di una Nuova America dei Diritti dopo la Cacciata del Grande Dittatore. Ora, qui non si tratta di essere fanatici repubblicani o sovranisti fuori di testa. Basta giusto il buon senso di un lettore qualsiasi, non ipnotizzato dal mainstream.
Basta per capire che Trump, con tutti i suoi innegabili difetti, non è un mostro. Eppure è trattato come tale, è stato sempre dipinto come tale ed ora che se ne va, più che mai, si becca il ludibrio in precedenza toccato in sorte solo più a un Ceausescu o a un Saddam Hussein. Con Trump è stata rispolverata una fallacia dell’era moderna che va sotto il nome di “reductio ad Hitlerum”. Essa consiste nella squalificazione a priori, e a prescindere, di un personaggio in quanto paragonato, per perfidia e malefatte, ad Hitler. C’è qualcosa di peggio di Hilter? No. E c’è una fallacia peggiore di questa? No. È un trucco retorico da quattro soldi che, tra l’altro, usato in casi come quelli di Trump provoca il corto circuito di ilarità involontaria di cui sopra.
I toni lirici dei nostri quotidiani e tigì di punta, per l’arrivo di Biden, rischiano di farci slogare le mascelle proprio perché sono enormemente sproporzionati rispetto alla realtà delle cose. E quindi somigliano tanto ai salamelecchi, o leccate di culo se preferite, che la stampa fascista riservava al Duce, quella cinese a Mao e quella di ogni dittatura al suo dittatore di riferimento. E la risata è al quadrato, anzi al cubo, perché Trump rappresentava forse l’antidoto all’unica dittatura, sotto mentite spoglie, dell’era attuale: quella dei grandi capitali finanziari apolidi e anti-nazionali, quella delle corporation della manipolazione mediatica, quelle dei capataz di Silicon Valley della censura social (da cui il Mostro è stato, non a caso, censurato).
L’intreccio inestricabile e tentacolare di queste matrici del globalismo plasma, letteralmente, la realtà che la gente “deve” vedere, ne inquina e coordina le idee, ne elicita e condiziona il “sentiment”. E uno come Trump, concentrato in patria sugli interessi del proprio Paese e all’estero sulla promozione di accordi di pace (anziché sulle bombe “pacifiste” e “democratiche” dei suoi predecessori) dà un sacco fastidio. Tutto il resto discende “per li rami”, come diceva il Sommo Poeta: compresa la piaggeria melensa e stomachevole della nostra intellighenzia e dei nostri (tele) giornaloni. Sono solo le propaggini di una formidabile macchina di propaganda e di soppressione del disssenso. Hanno il compito, intenzionale, di venderci una fasulla versione della storia. E per fortuna anche quello, involontario, di farci scompisciare dal ridere.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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