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La Commissione Segre e l’insostenibile leggerezza della libertà d’espressione

Quanto è lodevole la Commissione parlamentare per la lotta all’odio? Tanto, tantissimo. Chi può obbiettare che l’odio sia una cosa brutta in sé, anzi bruttissima? Se fate un referendum riservato ad aspiranti cittadini delle scuole elementari (in attesa che qualche geniale proposta di legge di Grillo li faccia diventare cittadini elettori a tutti gli effetti) scoprirete che l’odio si colloca ai primi posti della speciale classifica delle cose cattive, anzi cattivissime. E allora dove sta il problema della Commissione Segre? I problemi sono due, per la verità. In primis, che il Parlamento italiano non è un asilo per l’infanzia; anche se le iniziative di parecchi suoi membri indurrebbero a sospettarlo. In secundis, che  la commissione istituzionalizza il “sentimento di Stato”. Lo Stato comincia ad occuparsi dei sentimenti. E quando lo Stato comincia ad occuparsi dei sentimenti o delle virtù, chiunque abbia a cuore quell’antico valore, oggi sempre più malinteso, chiamato libertà (soprattutto di espressione e di manifestazione del pensiero) deve sentire un brivido lungo, e freddo assai, corrergli giù per la schiena.

Una delle più grandi conquiste delle democrazie occidentali è stato proprio introiettare l’idea che il diritto è a-sentimentale. Non troverete una sola volta, nei 2969 articoli del codice civile, menzionata la parola “odio”. Nel codice penale essa è richiamata in un’unica occasione, all’articolo 415: “Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio  fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”. E La Corte Costituzionale, con sentenza 23 aprile 1974, n. 108, ci mise una pezza dichiarando l’illegittimità dell’articolo «nella parte in cui non specifica che l’istigazione all’odio fra le classi sociali deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». Come dire che l’odio, giuridicamente parlando, va maneggiato con cura. Esso è un sentimento mentre la legge si occupa di comportamenti leciti o illeciti, minuziosamente codificati (proprio per evitare la degenerazione nell’arbitrio), non di sentimenti. Pretendere di prevenire l’odio (nonché le sue “istigazioni”) tramite la burocrazia, anziché attraverso le norme penali, è una paradossale forma di odio per la democrazia. Per questo, l’istituzione di Commissioni, Comitati, Giunte che abbiano competenze sull’odio, sull’amore, sulla morale o sulla virtù costituiscono quasi sempre un problema, e mai una soluzione.

Il passo successivo è la censura, ovviamente. La riprova di quanto sopra ce la fornisce quell’insuperato esempio di romanzo profetico che è “1984” di Orwell. Lì, troviamo la prefigurazione, in chiave narrativa, della più orrenda forma di totalitarismo. E in quella “storia” c’è, guarda caso, il Ministero dell’Amore. Così come, sul piano dell’attualità “vera” e non letteraria, troviamo il “Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio” in Arabia Saudita. Se dovessimo sintetizzare il motivo per cui la Commissione Segre non andava istituita ci rifaremmo a quel celebre motto della cultura libertaria: “Meglio un delinquente libero che un innocente in galera”. Da qui, un fatale quesito: è meglio l’istigazione all’odio della mordacchia al pensiero libero? La prima la puoi combattere penalmente. La seconda, una volta perduta, non la recuperi più.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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