Con tutto il rispetto per tutti i ragazzi del mondo, ci chiediamo: perché tutti i ragazzi del mondo sono così scemi? Scusate, non bisogna generalizzare. E allora specifichiamo: con tutto il rispetto per tutti i ragazzi d’Europa: perché tutti i ragazzi d’Europa sono così scemi? Proprio perché abbiamo il massimo rispetto per tutti i ragazzi d’Europa – e quindi, generalizzando, per tutti i ragazzi del mondo – ci sentiamo di rassicurarli: non sono scemi affatto e tali non li consideriamo, ma rischiano di sembrarlo e, peggio ancora, di diventarlo. Questo rischio lo temiamo, e quindi li mettiamo in guardia, nell’apprendere che moltissimi ragazzi del mondo, e d’Europa, sono impegnati in una campagna globale contro i rischi del riscaldamento globale; sponsorizzatissima dai padroni del mondo. E già questo dovrebbe inquietare i ragazzi del mondo; e d’Europa.
Ora, prescindiamo pure da ogni considerazione critica sul fenomeno del catastrofismo terrafondaio, sugli asseriti rischi di collasso di Gaia, la madre terra, per colpa dell’uomo e dei maledetti carbonfossili. C’è un numero se non sterminato almeno sufficiente di pubblicazioni scientifiche, in grado di smentire, e smontare, questa sorta di paranoia collettiva sul fatto che l’attuale global warming sia (tutto) colpa dell’uomo. Il che non significa, ovviamente, che l’uomo debba avere la licenza di inquinare l’atmosfera a piacimento o che il CO2 sia un profumo alla fragola. Ma vuol dire, almeno, che – dietro la moderna “mitologia” del cambiamento climatico – c’è una regia oculatissima e un business a decine di zeri. Di cui, va da sé, la stupefacente epifania della pulzella di Stoccolma in tutti i principali, e più prestigiosi, consessi politici mondiali è un epifenomeno studiato a tavolino. Ma tuttavia, come dicevamo, prescindiamo.
Facciamo pure finta che l’allarme sulle sorti del pianeta sia assolutamente fondato, e proprio così come ce lo vendono Al Gore e tutti i vip venuti dopo di lui. La domanda che si pone è: perché i ragazzi del mondo (cioè, scusate, d’Europa: restiamo sul pezzo) “protestano” per il clima? Per dir meglio: con tutte le storture di carattere economico e sociale – e dunque, per derivazione, di taglio politico – su cui concentrarsi, perché hanno “scelto” proprio il clima? E la risposta sta nel modello educativo, e formativo, con il quale essi sono stati “coltivati”, come le petunie di un giardino, o le melanzane dell’orto. E quindi in modalità coerentemente green.
Il modello si articola in due momenti, reciprocamente complementari: da un lato, quello del nozionismo spinto, tecnico-scientifico-linguistico, e della frammentazione dei saperi per quanto concerne il curriculum scolastico; dall’altro, il bombardamento mediatico di argomenti accuratamente selezionati dal mainstream per focalizzare, diciamo pure “direzionare”, l’attenzione dei giovani (in realtà, di tutti, ma qui è dei giovani che stiamo parlando) verso questioni inoffensive per il regime economico-sociale, e pertanto politico, dominante. Nota bene: il primo momento va di pari passo con la lenta eutanasia del culto dei classici, delle lingue “morte, e di materie come storia, filosofia e letteratura, soprattutto antica.
È come se andare a scuola servisse ai nostri ragazzi per apprendere un format di ragionamento parcellizzato in mille rivoli che si traduce nell’aver dimestichezza, poco o tanto, con un po’ di tutto. In particolare, di tutto quanto necessita a farne dei competitor abbastanza competitivi nel circuito professionale “fortemente competitivo” di cui parla l’articolo 3 del trattato di Maastricht. Con il risultato di ottenere dei soggetti totalmente inabili a quello sguardo d’insieme interdisciplinare, a quell’analisi critica soggettiva, a quel pensiero meditato, e profondo, che – soli – possono condurre a una comprensione radicale e autentica, e a una prassi rivoluzionaria, del mondo, della realtà e dei suoi schemi di funzionamento errati, se non addirittura palesemente ingiusti.
Oggi ci sarebbero motivi a iosa perché le giovani generazioni scendessero in piazza a rivendicare un cambiamento globale, non tanto delle condizioni del clima, quanto piuttosto delle condizioni della democrazia di diritto e dei diritti sociali, delle degenerazioni dell’unico modello economico tollerato dal sistema (quello neoliberista), delle caratteristiche del suo endoscheletro filosofico-giuridico (l’ordo-liberismo), dei rischi di un controllo totalitario delle coscienze attraverso l’uso delle nuove tecnologie, della pratica diffusa di disinformazione criminale su temi essenziali come debito e deficit pubblico, trattati intergovernativi e costituzioni nazionali, politica monetaria e prevaricazione dei poteri transanzionali o multinazionali sulle antiche democrazie rappresentative e autenticamente popolari.
Ma i giovani tutti questi temi non li toccano mai. E il motivo è che, per toccarli, bisogna prima capirli. Per capirli bisogna conoscerli. Per conoscerli bisogna studiarli. E per studiarli ci vogliono non solo tanta fatica, tanto tempo, tante energie (e tanti buoni maestri, aggiungiamo, che oggi scarseggiano). Ci vuole anche quella predisposizione allo sguardo d’insieme, all’analisi critica, a quel pensiero meditato e profondo che la scuola si guarda bene dal fornire loro. Quindi, povere anime, cosa gli resta? Essi, tornati a casa dai loro asfittici percorsi di “formazione”, si sintonizzano sui canali più gettonati dell’entertainment e apprendono che il mondo sta andando in fiamme. E che, se i governi non faranno qualcosa in tutta fretta – magari imbullonandosi ancor di più, e reciprocamente, a un Nuovo Ordine Mondiale – allora la terra finirà.
Ecco un bel grosso, grasso problema bello succulento proprio perché facilissimo da intendere. E quindi lontano mille miglia dall’inestricabile complessità di altri temi su cui bisogna spaccarsi la testa per venire a capo delle loro origini, e delle possibili soluzioni. E quindi i nuovi boy scout dell’ecologicamente corretto scemano nelle piazze, a frotte, a sfilare per una faccenda finalmente chiara, non complicata, comprensibile: raffreddiamo la temperatura della terra. E lo fanno con la stessa giuliva beatitudine, circonfusa di petulante euforia e di puerile entusiasmo, con cui i bimbetti della scuola primaria pitturano i loro primi disegni sulla pace nel mondo, sulla felicità tra gli uomini o sulla cosmica energia dell’amore universale. Il livello di analisi politica è lo stesso, ma i pupetti della materna, in compenso, sono più simpatici; e soprattutto non hanno uno spin doctor come quello di Gretha Thumberg che le fa dire una smargiassata (“noi siamo inarrestabili”) anziché l’amara verità (“noi siamo manipolabili”).
Ma la colpa, sia ben chiaro, non è solo dei giovani contestatori. È di chi li ha così ben programmati da renderli non solo manovalanza precaria ad uso del grande capitale, ma anche disciplinati interpreti di un copione del dissenso del tutto innocuo. Come dire che li hanno tirati su a furia di merendine, ne hanno infarcito la testa di schemi “tecnici”, e di insuperabili competenze linguistiche, li hanno “programmati” in vista di una accomodante accettazione del Sistema. Per finire, il Sistema gli ha pure assegnato un tema libero (il riscaldamento globale) onde farli “liberamente esprimere” nell’ora della ricreazione critico-sociale.
Una volta si diceva che i giovani sono la speranza del mondo. Oggi l’unica speranza dei giovani, e quindi del mondo, sono gli adulti e gli anziani con un po’ di cervello.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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