Nel corso di una notte semi-insonne, disturbato dal caldo colloso, dal brusio delle zanzare e dall’insopportabile vicenda Sea Watch, ho fatto un sogno strano. All’interno di un Palazzo di Giustizia, assisa sullo scranno di un tribunale, mi fissa una malinconica donna di bianco vestita, il capo cinto di una turrita corona. Io, in fondo alla sala immensa, disadorna e vuota, chiedo al mio unico vicino: “Chi è?”. Lui mi risponde: “L’Italia”. Io strabuzzo gli occhi: “L’Italia? E che fa?”. E lui: “Ora emette il verdetto”. Io, nel sogno, immagino si tratti del processo alla Rackete e mi acconcio a plaudire una sentenza di esemplare condanna. Invece, la donna – sfiorita nei tratti, eppur bella di una sua singolare fierezza – si erge ed emette una pronuncia che non avevo mai ascoltato.
Ella scandisce le parole nell’aria ferma e grave dell’aula: “In nome del popolo italiano, già mi vergognavo di essere europea, colonia di un impero da cui dipendo finanziariamente, a cui devo implorare il permesso di chiedere ad usura i denari necessari per i miei cittadini malati, per le mie città terremotate, per i miei servizi pubblici al collasso. In nome del popolo italiano, mi vergogno ora due volte di essere europea, parte di un’Unione schierata con il capitano straniero di una nave straniera colpevole, contro ogni legge italiana e internazionale, di disobbedienza a due sentenze, di violazione del mio spazio navale e di ingresso abusivo nel mio territorio. In nome del popolo italiano, mi vergogno tre volte di essere europea, succube di un’associazione ipocrita di Stati capaci di fare la morale a me per avere legittimamente, e invano, tentato di difendere i miei confini mentre ciascuno di essi, da anni, usa metodi più o meno violenti, più o meno illegali, per preservare i suoi. In nome del popolo italiano, mi vergogno quattro volte di essere europea, sequestrata, con la complicità di molti italiani, da una banda di ottusi contabili che mi umilia con grottesche procedure di infrazione perché non avrei rispettato le irrisorie percentuali di deliranti parametri di finanza pubblica. E tuttavia, in nome del popolo italiano, mi vergogno anche di essere italiana, mi vergogno degli esponenti di una sedicente classe politica dai quali dovrei essere rappresentata, difesa, supportata. E che, invece, nell’ora della prova, si fanno beffe a mio danno della legalità; quella stessa legalità di cui, pure, si professano zelanti cultori quando si tratta di castigare me per aver destinato qualche infima risorsa ai bisogni dei miei connazionali.
In nome del popolo italiano, mi vergogno due volte di essere italiana, mi vergogno di come, e di quanto, partiti e movimenti sedicenti italiani solidarizzino con chiunque, per qualsiasi ragione, sotto qualsiasi forma, oltraggi il mio nome, la mia integrità, le mie leggi, la mia dignità nazionale. Infine, in nome del popolo italiano mi vergogno tre volte di essere italiana, mi vergogno di un miserevole ceto intellettuale chiamato ad essere il fior fiore, e degno erede, dell’intelligenza di una nazione che di un genio vivo, spiccato, inimitabile ha fatto la cifra stessa di una storia e di un destino. In nome del popolo italiano, mi vergogno di loro, della loro pavidità e subalternità culturale, dell’innata, o indotta, incapacità di cogliere e denunziare le ingiustizie, della loro meschina, per quanto posticcia, pietà, della boria pomposa con cui rivendicano, quasi, il dovere di non sentirsi italiani mai, ma più europei sempre. In nome del popolo italiano, e per tutte le suesposte ragioni, io mi vergogno di me”.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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