Se andate ad analizzare con modalità occhiuta e pignola la Costituzione italiana, entrata in vigore il primo gennaio 1948, e i trattati fondativi dell’Unione europea, noti come TUE (Maastricht) entrato in vigore il primo novembre del 1993, e TFUE (Lisbona) entrato in vigore il primo dicembre 2009, potreste accorgervi di una impressionante asimmetria. È come se i tre documenti fossero separati non solo da una voragine cronologica di personaggi, di eventi, di epoche, ma da una voragine etica, civica, politica nel senso più alto e nobile del termine (per quanto riguarda la nostra Carta fondamentale) e nel senso più deteriore e vilipeso (per quanto riguarda i trattati).
Ne volete una riprova tangibile? Allora fissatevi questa triade di concetti: lavoro, solidarietà, uguaglianza. E poi quest’altra: rendita, egoismo, disparità. Notate la differenza? Sono categorie reciprocamente speculari. Al lavoro fa da contraltare la rendita; alla solidarietà si contrappone l’egoismo, all’uguaglianza risponde la disparità. Ebbene, il trittico positivo è addirittura scolpito nei primi quattro articoli della Costituzione italiana. L’articolo 1 dichiara che la Repubblica è fondata sul lavoro, il che significa assegnare una primazia assoluta all’uomo sul capitale, a chi, col sudore della fronte, crea valore nel mondo “estraendo” la ricchezza dalle cose con la propria energia. L’articolo 2 esige dai cittadini l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale e, addirittura, l’articolo quattro impone ai cittadini lo svolgimento di un’attività o funzione che contribuisca al benessere materiale o spirituale della società. Un’enunciazione quasi metafisica che costituzionalizza non il pareggio di bilancio tra debiti e crediti, ma tra ciò che tu ricevi dalla tua comunità e ciò che sei tenuto a dare, in cambio, in ossequio alla solidarietà interclassista e intergenerazionale. L’articolo 3, infine, evoca il sacro principio dell’uguaglianza che non tollera distinzioni non solo di razza o di sesso o di religione, ma soprattutto di ceto. Guardiamo adesso i Trattati. All’articolo 3, comma 3 del TUE troviamo esaltata la “stabilità dei prezzi” che, a mente dell’articolo 127 del Trattato di Lisbona (da leggersi in combinato disposto con l’altra norma dianzi citata) viene addirittura prima del progresso sociale, della piena occupazione, della crescita sostenibile.
È la codificazione degli impulsi ossessivo-compulsivi contro il rischio di una, financo moderata, inflazione. Insomma, è la cristallizzazione delle esigenze dei prenditori di denaro e dei prestatori di capitali, dei rentier, di chi – anziché lavorare – vive di rendita. Prendete ora gli articoli 123, 124 e 125 dei Trattato di Lisbona. Vi troverete sancito, in modo inequivocabile, il divieto assoluto per i detentori della scaturigine di ogni ricchezza (allocati in quel di Francoforte in una sorta di Olimpo a nome Eurotower) di finanziare gli Stati, cioè i cittadini europei e la proibizione tassativa per l’Unione di aiutare gli Stati e per gli Stati di aiutarsi tra loro. Mai nella storia fu legalizzata una forma di egoismo politico così “pura” e impeccabile. Infine, l’articolo 3 di Maastricht esalta un’economia sociale “fortemente competitiva” dove il forte vince e i deboli perdono. Con tanti saluti alla presa della Bastiglia e agli ideali conseguenti. Quando avete terminato la lettura, chiedetevi in che mondo vi piacerebbe vivere e, soprattutto, perché siete finiti in quello sbagliato, di Maastricht e di Lisbona.
Francesco Carraro
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