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QUANT’È BELLA GIOVINEZZA

giovinezzaC’è un interessante processo, in atto da una ventina d’anni almeno, che con il Renzismo sta conoscendo la sua apoteosi. Potremmo definirlo come la ‘deriva anagrafico-estetica’ dei rappresentanti del popolo, cioè un progressivo assottigliarsi in età e affinarsi in avvenenza della casta. Soprattutto la quota rosa dei cosiddetti governanti, ministri e affini, è sempre più giovane e bella. L’amabilità dei tratti e la gagliarda gioventù sono ormai un pre requisito senza il quale è un’impresa ottenere i galloni istituzionali.

Così, se un tempo dagli scranni delle tribune politiche ci annoiavano grigi e occhialuti funzionari oggi è tutta una sfilata di mannequin che non sfigurerebbero sulle passerelle di Prada e la giovinezza è diventata una categoria della politica che fa premio sulla competenza e sulla gavetta. Se dovessimo giudicare il rinascimento fiorenziano dalle fresche proporzioni delle sue interpreti di punta non potremmo che essere ottimisti. Volevamo il cambiamento, la rottamazione, la svoltabuona, come twitta Sor Matteo? Le abbiamo ottenute. Adesso si tratta solo di remare compatti dietro i nuovi ammiragli due punto zero che ci traghetteranno fuori dalle secche della crisi. A vederle, a vederli (anche i maschi non son da meno), così fascinosi e charmant vien da chiedersi se non ci troviamo davanti a una inattesa generazione di prodigi, magari i bambini indaco di cui favoleggiava la pubblicistica new age di fine millennio. Perché non solo sono attraenti e bucano il video. Parlano diritto in qualsiasi circostanza (eccettuata qualche perdonabile gaffe), si disimpegnano con identica scioltezza nei salotti e nei comizi, nelle convention e nelle sagre. Ai tempi in cui eravamo depressi dall’idea di morire democristiani, la politica (di vertice, s’intende) sfornava prototipi (poi replicati in serie) bruttarelli anzichenò, ma studiati. Affermarsi richiedeva tempo. La vituperata seconda repubblica portava così alla ribalta personaggi costretti, per reggere, a misurarsi con competitors di rango, formati nelle (e sfornati dalle) sezioni periferiche di partito dove un severo backgorund culturale e una disciplinata cornice ideologica non erano orpelli, ma atout irrinunciabili. Poi magari gli ‘eletti’ si rivelavano pure brutti, ‘sporchi’ e cattivi, ma erano comunque Politici con la P maiuscola. Nel tempo corrente, al contrario, in cui paventiamo di morire renziani, siamo circondati solo da belli, ‘puliti’ e buoni. Da OGM insomma, organismi graziosamente modificati. Com’è che si è inverato, a due millenni di distanza, il mito greco del kalos kai agathos, cioè del bello e virtuoso, anzi del bello in quanto virtuoso? Perché non v’è dubbio che la soavità leggiadra della Novelle Vague renziana ha anche, se non soprattutto, una valenza simbolica e ci viene imposta (come un format) per veicolare messaggi rassicuranti e sorrisi telegenici. La risposta sta nella liquefazione delle idee, soprattutto di quelle che avevano l’ambizione di porre al centro della lotta per il potere una missione che fosse al servizio dell’uomo. Oggi l’ideologia, intesa come visione prospettica del futuro ruotante attorno alla civitas e al cittadino che la abita, è morta. Destra e sinistra sono scatole vuote, senza contenuti, indispensabili per attrarre elettori alle urne con la farsa di un mondo dove si confrontano un progetto vagamente socialdemocratico e un altro tenuamente popolar conservatore. Questo sono PPE e PSE, i ‘feroci’ antagonisti del proscenio europeo: forze senza forza, agglomerati di facciata, involucri di cartone. Baldassarre Castiglione, fine diplomatico e politico del Rinascimento italiano, autore del Cortegiano, avrebbe detto che “di fori mostrano similitudine di grandi omini e cavalli triunfanti e dentro sono pieni di stoppa e di strazzi”. Insomma, sono i cadaveri imbalsamati della nostra moritura democrazia. Alzi la mano chi vede significative differenze tra le candidature alla commissione europea. O chi ha capito in cosa Juncker si sarebbe distinto da qualsiasi altro fosse finito, al suo posto, nella stanza dei bottoni. Oggi il dominus è il mercato, anzi ‘I Mercati’ che, con sussiego e timor di dio, vengono evocati e invocati da chi dovrebbe fare informazione e da chi dovrebbe fare politica. Entrambi flettono le ginocchia preoccupandosi quando i Mercati hanno il raffreddore ed esaltandosi quando ‘I Mercati’ si svegliano euforici. I Mercati, per intenderci, sono quella decina di top players che gestiscono il novanta per cento delle transazioni finanziarie mondiali tenendo per le palle gli Stati nazionali europei e avendoli sommamente a cuore perché un default di questi ultimi significherebbe perdite inenarrabili per lorsignori. Per questo, non per altro, il debito pubblico dei sedicenti sovrani è vigilato con cura dai secondini ‘Renzi style’. Sono terrorizzati dalla prospettiva che nazioni prive della possibilità di approvvigiornarsi di moneta (come la nostra) possano trascinare a fondo i loro investimenti speculativi. Di qui la retorica per cui dobbiamo riassestare i nostri conti perché ce lo chiede l’Europa o, nella vulgata renziana, perché ce lo chiedono i nostri figli. Ecco la chiave di volta di tutta la faccenda. Ai mercati vanno benissimo queste figure leggiadre, di seta vestite, suadenti nel porgere il sorriso alla telecamera come nel declinare l’abbecedario della servocrazia (cioè del simulacro di sovranità residua al servizio delle borse) fatto di quattro, massimo cinque parole ripetute allo sfinimento: crescita, riforme, cambiamento, contenimento della spesa, flessibilità. Sono i dogmi dei nuovi padroni. Quindi non conta che un politico si formi nelle sezioni di periferia, dove magari rischia di imparare qualcosa di troppo e di disfunzionale al progetto. Non conta che ‘sia’ né che ‘sappia’ né che ‘diventi’. Conta solo che ‘sembri’, ‘piaccia’ e ‘declini’. Significa che avremo ministri e ministre sempre più giovani e sempre più belle, magari ventenni acqua e sapone col sorriso Durban’s? È molto probabile. Se ‘declinano’ e se piacciono più dei robot rottamators che ci ritroviamo ora, saranno loro a rottamare i predecessori nel nome del culto postmoderno di una bellezza acefala ossia la cifra dei tempi a venire. Del resto, sarà sempre più irrilevante un’applicazione mentale diluita nel tempo perché sarà sempre meno necessaria la comprensione delle cose. Ciò che serve è l’obbedienza cieca e ostinata alla logica dei Mercati e ai loro diktat. Poco importa se ciò significa popoli sempre più poveri di risorse e di democrazia. Quando la ricetta è una sola, di cosa bisogna discutere? Di cosa vogliamo parlare? C’è solo da aumentare il pil, fare le riforme strutturali e stimolare la crescita. I parlamenti, non a caso, sono avviati allo stato larvale di reliquia, anzi di fossile. Ci porteranno gli studenti in gita per mostrargli il posto dove, una volta, la gente mandava qualcuno per deliberare qualcosa. E infatti il partito democratico renziano, che è la formidabile cinghia di trasmissione dei patrizi attuali, l’epitome non perfettibile di un’Epoca, sta lottando strenuamente per farne un bivacco di dopolavoristi. Siamo passati dall’uomo a una dimensione di Marcuse al mondo a una dimensione del Market. In un posto così, maturare idee non è neanche più pericoloso. È inutile. A meno che non siano brillanti trovate per ricamare il pizzo sull’orlo della mutanda delle coeve nobiltà. Lo scontro appassionante sarà tra chi vuole il pizzo alla veneziana e chi lo esige alla francese. Per farlo non giova sapere, tanto meno capire. Basta ricamare, ed essere giovani e belli.

www.francescocarraro.com

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