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Crisi d’identità

La notizia sconcertante del farmaco blocca-pubertà inserito nei prontuari delle medicine “passate” dal Servizio Sanitario Nazionale ci obbliga a ripescare un articolo della nostra carta costituzionale troppo spesso citato e quindi troppo spesso frainteso o, comunque, non capito fino in fondo. Ci riferiamo a quel famoso “articolo tre” infinite volte utilizzato dalla Corte Costituzionale per dichiarare la illegittimità di una legge. Un articolo importante che abbiamo tutti sulla punta della lingua perché ha a che fare con un concetto cui siamo affezionatissimi fin dalle scuole elementari e fin da quando, magari, ci emozionavamo nel sentire gli epici racconti delle fasi calde della Rivoluzione francese e di quel motto strepitoso che recitava così: libertè, egualitè, fraternitè. Egualitè: uguaglianza. L’articolo tre, lo sappiamo tutti, è la norma cardine del nostro sistema giuridico, quella che garantisce appunto l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. E la cui declinazione pratica, sul piano processuale, la potete leggere incollata al muro, sotto al crocifisso, nelle aule di giustizia di tutti i tribunali d’Italia: la legge è uguale per tutti. Bene, vi do una notizia.

L’articolo tre non parla, solo e tanto, di uguaglianza, ma parla anche, e soprattutto, di diversità. Rileggiamolo insieme: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’uguaglianza la vedete subito, giusto? Ma rileggetelo ancora. Vi accorgerete come, in verità, questa norma tuteli il diritto all’uguaglianza davanti alla legge in quanto presuppone un diritto ancora più radicale e quasi pre-giuridico, per così dire: quello alla diversità. Altrimenti detto: siamo tutti uguali davanti alla legge perché siamo tutti diversi sotto il cielo. Diversi sul piano della razza, della lingua e anche del sesso. La nostra Costituzione, in altri termini, prima ancora di tutelare il diritto degli uomini e delle donne a essere trattati senza discriminazioni, riconosce il diritto degli uomini e delle donne ad essere rispettati in quanto uomini e in quanto donne. E così pure riconosce il diritto, prodromico e propedeutico rispetto all’uguaglianza, alle differenze etniche, linguistiche,  religiose.

Quelle quattro scriminanti (sesso, razza, lingua, religione) non sono state messe a caso dai padri costituenti e neppure secondo un ordine sparso. Costituiscono una precisa e indefettibile gerarchia dei fattori costituenti l’identità personale: io sono un uomo o una donna, ho un certo colore della pelle e determinati tratti somatici, parlo un linguaggio definito, credo o non credo in un qualche dio. In altre parole, sono io. Il mio io è definito prima di tutto da questi quattro elementi costitutivi della mia identità. Senza di essi, abbiamo l’uomo privo di identità, l’uomo massa (e merce) suscettibile di ogni manipolazione, disponibile a qualsiasi condizionamento. Se ci fate caso, ciascuno dei quattro è oggi sotto attacco. E l’iniziativa di cui abbiamo parlato in apertura (nonché la cosiddetta cultura trasgender ad essa sottesa) rappresenta l’esemplare applicazione pratica di un più vasto progetto finalizzato a distruggere le nostre identità. Nel nome dell’uguaglianza.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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