A volte si ha l’impressione che i sovranisti e gli anti-sovranisti – o, se preferite, i populisti e gli europeisti – non militino affatto in schieramenti diversi, ma in un unico rassemblement in cui, aldilà delle indubbie differenze, il corpo centrale delle rispettive credenze è uguale. Terrificante, vero? Cosa c’è di peggio, per un cultore della competitività, dei mercati, dell’austerity (e quindi della Troika, del MES, dell’Unione politica eccetera eccetera) di vedersi omologato a un gilet giallo di Parigi? E cosa c’è di peggio per un dissidente rispetto al sistema di sentirsi accomunato a un’eminenza grigia di Bruxelles? Eppure, per supremo paradosso, entrambi coltivano una fede condivisa sintetizzabile nel seguente Credo: l’Italia ha perso la propria sovranità. La differenza sta nella reazione a questo annuncio mortifero.
L’europeista esulta perché, alla buon’ora, non siamo più padroni a casa nostra, ma finalmente irreggimentati in quelle regole che, da soli, non abbiamo saputo darci ma che, con l’aiuto dei virtuosi Paesi nordici e del loro vincolo esterno, finalmente rispetteremo; una sorta di rieducazione morale delle masse italiote ottenuta a colpi di crisi, di spread, di rinuncia all’egoismo nazionale. Il sovranista pensa invece l’opposto: il furto, lo scippo addirittura, della sovranità patria è un delitto che grida vendetta al cospetto della nostra Carta Costituzionale e che forse può essere lavato con una insurrezione generalizzata. I primi propongono di andare avanti senz’altro e di imbullonare definitivamente le sbarre della prigione. I secondi propongono di evadere dal carcere e si struggono, invano, nell’elaborazione di complicatissimi piani di fuga. Allora chiedo: è possibile una terza via? E se sì, in cosa consiste? La risposta è sì, è possibile, e consiste nel non andare né avanti (perché significherebbe il definitivo approdo a un regime formalmente democratico ma sostanzialmente autoritario quanto quelli sfacciati del secolo breve) né indietro (perché la rottura traumatica dell’ordinamento giuridico attuale implica uno shock e un prezzo che molti, troppi, sovranisti non sono disposti a pagare). E allora?
Allora restiamo fermi. Il punto chiave è restare fermi, con in testa un comandamento ben preciso: non firmare né ratificare più un solo trattato internazionale, soprattutto in ambito europeo. Per ora, non abbiamo ancora perso la sovranità fiscale e, secondo talune letture tutt’altro che assurde, non abbiamo perso neppure quella monetaria. Procediamo a piccoli, ma significativi, ritocchi (per esempio la abrogazione, per via di riforma costituzionale, delle norme incostituzionali introdotte con il Fiscal Compact) e lavoriamo di fino, di cesello, per individuare i bachi del sistema e sfruttarli a beneficio di politiche finalmente e veramente popolari e sociali e non più succubi dei diktat di Mercati&Finanza. Ci sono gli strumenti politici, economici, giuridici, e persino piscologici e comunicativi, per riuscirci: cioè, per usare quella sovranità che non abbiamo ancora perduto. Ne parleremo, con gli amici Fabio Conditi e Valerio Malvezzi, il 29 gennaio, al Senato della Repubblica. Vi aspettiamo numerosi. E fiduciosi.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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