La Lega di serie A ha organizzato la Supercoppa italiana di calcio a Gedda, centro di quell’Arabia Saudita dove da poco hanno affettato il giornalista Khashoggi con una motosega. E – a conferma del nostro proverbiale rispetto per le costumanze altrui – i vertici del football nostrano hanno accettato le illuministiche regole autoctone per quanto riguarda la divisione dei posti allo stadio: maschi da una parte e femmine dall’altra, in ossequio a un severo apartheid di genere. Ora, la faccenda si presta a qualche interessante considerazione sul nostro fanatismo per i diritti cosiddetti civili, in particolare per l’ossessione nei confronti della parità dei sessi. Siamo dei feroci promotori di tale uguaglianza quando giochiamo tra le mura amiche della nostra civiltà occidentale. Ma ci facciamo piccini, piccini, picciò quando andiamo in giro per il mondo. Da raffinati cultori delle quote rosa, quali siamo diventati, non facciamo un plissè alle ultra-sessiste tradizioni altrui. Ciò non vale solo per i diritti delle donne, sia chiaro. Vale anche per l’Abc della democrazia in tema di libertà di espressione, critica, dissenso. Indimenticabile, in proposito, il caravanserraglio a capo del quale Prodi, nel 2006, si presentò in Cina per attrarre investitori orientali. Senza il minimo imbarazzo per quei diritti della persona che, dalle parti della Grande Muraglia, non sono precisamente in cima al menu delle garanzie costituzionali. Quindi, una prima risposta è: lo facciamo per la grana. Ed è vero. Se c’è da ingolosire investitori internazionali, la nostra premura per i diritti civili si appanna. E la Lega Calcio piglia 21 milioni di euro, mica bagigi, per esibirsi nell’Arabia del politicamente scorretto. Ma c’è di più, sapete. La verità è che, la nostra, è diventata una passione per le libertà degli individui a intermittenza, all’insegna del motto: forti con i deboli, deboli con i forti. Anche le stra-femministe iper-laiciste di casa nostra fanno le suffragette in una società dove i diritti già ci sono, e ben garantiti, reclamando l’uso di ridicoli neologismi ugualitari (tipo ‘presidenta’ o ‘supplenta’). Quando, invece, si potrebbe partire lancia in resta contro gli usi e costumi di altre culture ‘migranti’, dove i diritti sono davvero conculcati e le donne realmente maltrattate e vilipese, allora cala un silenzio vigliacchetto: sulla poligamia, sull’obbligo del burqa, sulla prepotenza dell’ospite straniero che esige la deposizione dei crocifissi dalle nostre scuole. Ma la faccenda non riguarda solo i silenzi domestici. Come dimenticare le trasferte ‘diplomatiche’ di talune esponenti politiche di casa nostra oltre i confini patrii: appena sbarcate in terre islamiche, le dame si adeguano senza fiatare alle usanze indigene, anche alle più maschiliste e sessiste (vedi i copricapi medievali). Qualcuna ha persino provato la segregazione e le è piaciuta (https://scenarieconomici.it/ho-provato-la-segregazione-e-mi-e-piaciuta/). Per concludere: non si lotta più per l’uguaglianza più importante (quella tra le classi, non tra i generi), ma solo per patetici obbiettivi da avanspettacolo. E, soprattutto, ci si inchina sistematicamente a due poteri fortissimi della nostra era: quello del denaro, da un lato, e quello della maschia prepotenza patriarcale della cultura islamica, dall’altro. A noi è rimasto solo il vuoto pneumatico dei paladini della correttezza di genere: insopportabili e petulanti quando giocano in casa. Timidi e codardi in trasferta.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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