È andato in onda, la settimana scorsa, un confronto dialettico tra il professor Antonio Rinaldi, da un lato, e un economista e un giornalista pro euro dall’altro, nel corso della trasmissione condotta da Luca Telese e David Parenzo. Considerato che anche i due conduttori non fanno esattamente parte della schiera degli euro-scettici, possiamo dire che Rinaldi giocava fuori casa con il pubblico contro e tre uomini in meno. Eppure, non ha solo vinto, ma stravinto: sul piano degli argomenti, della logica, della preparazione. E senza premere l’acceleratore, intendiamoci. Assestandosi su una posizione serenamente critica e opponendo l’impietosa durezza dei fatti alla molle retorica della chiacchiere.
Qui, però, non vogliamo riproporre il contenuto del dibattito, ma soffermarci piuttosto sui suoi risvolti di carattere psicologico (individuale e sociale). Intendiamo, cioè, usare la trasmissione come ‘documentario’ (da proporre nell’ora di educazione civica delle scuole medie e superiori) per indagare le ‘ragioni’ irragionevoli di un individuo e di un sistema filoeuropeisti. Si tratta di una operazione doverosa onde comprendere perché – a dispetto dei dati di realtà – la maggioranza degli opinionisti, intellettuali, ‘influencer’ italiani si rifiutano ostinatamente non solo di mettere in discussione l’Europa Unita (il che sarebbe il minimo sindacale visti i danni irrimediabili prodotti dalla moneta unica e dalle istituzioni di ‘governance’ comunitaria), ma addirittura di accettare una discussione sul punto. L’altra sera, l’aspetto più divertente era proprio la contrapposizione tra la disincantata e ironica disponibilità al dialogo di Rinaldi e la livorosa, torva chiusura dei suoi due contraddittori. Uno, in particolare: l’economista. Scuro come un temporale, il volto contratto in una maschera di disgusto, sparava anatemi sul povero Rinaldi, senza portare uno straccio di credibile giustificazione. In breve: non voleva confrontarsi. E trovava stucchevole e offensivo il sol pensare di voler questionare di Europa e di euro. Insomma, alla fine la domanda aleggiante nello studio è diventata: perché diavolo tu, Rinaldi, osi parlare di Lui (dell’euro?). E perché diavolo voi giornalisti lo permettete?
La risposta in due parole di freudiana memoria: totem e tabù. L’euro e l’Unione Europea sono il nuovo totem della classe intellettuale del paese. La dissoluzione dell’euro e dell’Europa costituiscono, invece, il tabù assoluto. E con i totem e i tabù non si scherza. Chiedete a una tribù aborigena cosa ne pensi dell’incesto (o leggete Levi-Strauss), e arriverete abbastanza vicini a comprendere il senso dell’euro per un europeista. Ci troviamo, oramai, di fronte a un fenomeno sconfinante più nella psicopatologia che nella politologia. L’europeista medio, in altri termini, non è più ‘compos sui’ (padrone di sé e delle proprie azioni) quando si parla di Europa. Non solo non vuole affrontare il tema posto sul tappeto dai no euro. Non può. Glielo impedisce una forza analoga a quella che ‘obbligava’ i chierici del Seicento a negare, davanti al cannocchiale di Galileo, l’esistenza dei crateri lunari o delle macchie solari. Galileo la sfangò, Giordano Bruno no. Occhio ai roghi.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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