Pare, secondo l’OCSE, che oltre il settanta per cento della popolazione italiana sia oggi analfabeta funzionale. Significa che sa leggere e scrivere, bene o male (più male che bene, diciamo), ma non riesce a districarsi nelle operazioni elementari come comprendere un articolo di giornale, un bugiardino di medicinale o un foglio di istruzioni. Insomma, non riesce a orientarsi nel mondo e ad applicarsi nella sua trasformazione senza il sussidio di qualcuno. In tempi in cui la correttezza politica non era un imperativo, si sarebbe detto: un ebete. Il dato è interessante e va approfondito. Intanto, se abbiamo capito cos’è un analfabeta funzionale, come possiamo definire la ‘alfabetizzazione funzionale’? Per l’Unesco, essa consiste in ciò: “Fornisce gli strumenti per acquisire la capacità critica nei confronti della società, stimola i progetti che possano agire sul mondo e trasformarlo”. Tutto molto bello, ma come mai da noi non funziona? Forse perché il sistema scolastico è allo sbando? Non direi; chi ha una minima confidenza con i programmi delle scuole elementari e medie dei nostri ragazzi sa quanto essi siano densi: molte competenze, anche troppe, soprattutto di carattere tecnico-scientifico, nonchè applicazione sistematica delle più recenti teorie didattiche e delle più efficaci strategie di apprendimento. Allora è colpa di una difficoltà di accesso al sapere? Ovviamente no: galleggiamo per inerzia su un oceano sconfinato di conoscenze grazie all’interconnessione della web society. E allora? E allora rileggiamola la dichiarazione Unesco e troveremo le paroline magiche in grado di illuminare l’insieme: “Capacità critica nei confronti della società” orientata a “trasformare il mondo”. Ecco il cuore dell’alfabetismo funzionale: fornire ai giovani abitanti di un nuovo pianeta (e per tutti i giovani del mondo, il mondo è ‘nuovo’ per definizione) gli strumenti per capire le pecche del sistema ed emendarle, attraverso processi intellettivi di analisi teorica e volitivi di sintesi pratica, al fine di un suo cambiamento o, addirittura, di un suo capovolgimento. In generale, questa è la vocazione prima del pensiero filosofico e, in particolare, la missione che si erano dati i componenti dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte da cui scaturì, nella prima metà del Novecento, l’omonima Scuola. Ma per fare analisi critica, finalizzata alla praxis (cioè per divulgare una cultura autenticamente ri-generativa rispetto alle storture del presente) non basta imbottire di nozioni la memoria dei ragazzi: bisogna dar loro le chiavi per decodificare la realtà. E siamo al nocciolo: il nostro sistema educativo è scientificamente concepito per evitare che le nuove leve comprendano davvero le sottostrutture portanti dell’attuale civiltà, ne disvelino i meccanismi di riproduzione delle relative menzogne, e siano quindi in grado di concepire valide, e praticabili, alternative. Il che è paradossale; nell’era delle famose, e idolatrate, riforme strutturali, l’unica riforma costitutivamente impossibile è anche quella più necessaria: il ribaltamento del Sistema. In sintesi, oggi non c’è poca scolarizzazione; ce n’è troppa. E, per la gran parte, essa mira proprio ad ottundere quella “capacità critica” in cui consiste l’alfabetismo funzionale.
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