Se avete la sensazione che nulla possa realmente cambiare, o siete degli inguaribili pessimisti oppure dei lettori affezionati del Corriere della Sera. In entrambi i casi, avete ragione e, soprattutto, in entrambi i casi non dipende da voi. Piuttosto, da una congiuntura di fattori che potremmo così riassumere. Da un lato, c’è lo zeitgeist (lo spirito del tempo) di cui siamo tutti imbevuti e da cui è arduo disintossicarsi. Lo spirito del tempo ci dice che la storia è finita e che non c’è più l’avvenire di una volta, quello tradizionalmente inteso come incubatore dei cambiamenti radicali in cui confidiamo ad onta dell’ora presente. Viviamo in un ‘oggi’ eternizzato. Le coordinate civili, politiche e sociali del mondo – ci viene detto – non sono più revocabili in dubbio, al massimo correggibili di quel poco da lasciare inalterato un insieme fatto di ossessione per la performance, per il ritmo e per la fretta; in ultima analisi, per il ‘cambiamento’ farlocco di un mondo che cambia sempre e solo per farsi più perfetto nella sua sostanziale inumanità. L’altro fattore è costituito dalla Grande Stampa, dove ‘grande’ è un aggettivo che non ‘qualifica’ affatto la ‘qualità’ della sua informazione, ma solo il grado della sua diffusione. E così arriviamo al Corriere della Sera che, in data 15 febbraio 2018, pubblica in prima pagina un editoriale del più liberista degli opinionisti liberali, Francesco Giavazzi. Quando discettano i pezzi grossi di una testata è un po’ come se ‘parlasse’ la testata stessa. Quindi, chiedetevi: cosa dobbiamo pensare di un articolo dove si magnifica il fiscal compact quale favoloso strumento per la riduzione del debito pubblico e quindi degli interessi pagati dallo Stato a terzi creditori con conseguente risparmio di risorse da destinare (testuale) a “ridurre la pressione fiscale o per investire in scuole o ospedali”? Questa è la linea del più prestigioso organo di stampa italiano. E ciò – badate bene – dopo anni in cui la coscienza civile è maturata al punto che persino i bambini sono in grado di porsi socratiche domande come le seguenti: perché uno stato dovrebbe indebitarsi (se non con se stesso) per procacciarsi la pecunia di cui abbisogna? Perché ci sono Stati con debiti pubblici enormi eppure sottratti all’incubo spread? Perché ricorrere al fiscal compact per garantirci un welfare (scuole e ospedali inclusi) che ha funzionato senza fiscal e senza compact fino all’ingresso nell’euro? Vedete, qui il problema non sono le domande. Sono le risposte. Che sono note oramai, in primis ai padroni, ai direttori, agli editorialisti di tutti i nostri corrieroni nazionali. E siccome quelle domande chiamano inevitabilmente risposte dissonanti (anzi dissacranti) rispetto allo spirito del tempo, esse semplicemente non vanno poste. La Grande Stampa, e le sue grandi firme, sono le garanti di quell’immutabile presente cui siamo approdati e in cui esse ci conservano; come insetti nell’ambra.
Nessun Commento