Parliamo di una cosa voluttuaria, una volta tanto, e tremendamente irrilevante per chi il calcio non lo sopporta quanto tremendamente importante per chi il calcio si ostina ad amarlo a dispetto delle circostanze, dei tempi e di tutti quei milioni che la fanno da padroni. Parliamo della desolante esibizione fornita dallo Juventus Football Club negli ottavi di finale giocati a Torino contro il Tottenham. È raro capiti a un tifoso juventino di provare vergogna per la propria squadra, se si eccettua la vergogna che tutti gli altri tifosi italiani vorrebbero egli provasse per quell’autentica mitologia dell’inganno del secolo ventunesimo che va sotto il nome di Calciopoli (rectius Farsopoli) e dalla quale la Juve è riemersa più forte di prima. Vergogna perché, allora? Perché nel fortino amico di uno stadio scintillante e ambizioso come l’Allianz tu non puoi subire il gioco avversario per ottanta-minuti-ottanta concedendo un possesso palla del settanta per cento all’altra squadra (squadra, non squadrone!). E invece è successo. Una Juve inguardabile, e messa alla gogna, si è fatta recuperare la fulminea doppietta del Pipita in capo a un match di cui i bianconeri non sono mai venuti a capo. Per la precisione, essi sono stati asfissiati, stritolati, annichiliti. Forse è la prima volta, nella storia della Champions, che un club di questa levatura si concede alle folate ossessive degli ospiti in modo così remissivo, inerme, ingiustificabile. Da vergognarsi, appunto. Di chi è la colpa? Mai come in questo caso, la colpa è di un incolpevole e cioè di Mister Massimiliano Allegri. E scriviamo ‘incolpevole’ perché parliamo di un tecnico top, di un fine stratega, di un maestro della tattica e della gestione degli uomini e degli schemi. E però. E però, come tutti i grandi, il coach bianconero ha un difetto, ma è un difetto a sua volta così grande da non essere controbilanciato da tutti gli allori pure conquistati. Per dirla in due parole, Allegri è un pragmatico, anzi è la quintessenza liofilizzata del calcio pragmatico, se mai ne è esistita una con fattezze umane. Quando l’allenatore delle zebre si scandalizza perché la critica ha osato censurare l’atteggiamento della sua squadra lo fa in nome di una Realpolitik (dopotutto, il passaggio ai quarti non è compromesso) inutile in una competizione d’elite. Da chi approda agli ottavi della mitica coppa dalle grandi orecchie non ci si aspetta solo la vittoria, ma soprattutto lo spettacolo e la mostra di un’aggressività un po’ narcisa e un po’ garibaldina (quella di cui i londinesi hanno dato esempio gagliardo); in una parola: bella. Ma Allegri non può. Non è che non vuole. Non può. Crocianamente (e calcisticamente, va da sé) parlando, è un discepolo dello spirito nella sua forma pratica e conosce solo le categorie dell’utile e dell’inutile. Ne ignora del tutto la forma teoretica ed estetica e quindi la conoscenza della differenza tra il bello e il brutto. Così, egli non ‘vede’ letteralmente l’enorme danno di immagine che un approccio tanto supino e arrendevole (pur machiavellicamente finalizzato al risultato) arreca alla leggenda della Juve. Al confronto di artisti della panchina come Guardiola o Sarri, l’uomo è quale Salieri al cospetto di Mozart. Magari ci regala altri sette scudetti, ma quanto brucia ai supporter bianconeri non avere (forse non aver mai avuto) un Mozart sulla propria panchina.
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