Perché è legittimo che a un avvocato salti la mosca al naso al pensiero del G7 sul “linguaggio dell’odio” organizzato dal sommo consesso dell’avvocatura italiana? Direi per due ottime ragioni. In primo luogo perché allestire oggi, in questo preciso momento storico, un summit internazionale delle toghe sul “linguaggio dell’odio” è come discutere sul colore di una tenda parasole mentre arriva l’Uragano Kathrina. Si tratta di una faccenda non solo largamente controversa e suscettibile di plurime strumentalizzazioni, ma soprattutto di portata insignificante rispetto alle reali, profonde e drammatiche emergenze dell’Universo della Giustizia e del Diritto di cui gli avvocati dovrebbero essere vigilanti custodi. Qualche esempio di tali urgenze? Si va dalla restrizione degli spazi di agibilità democratica in tutti i paesi europei all’intensificarsi di forme sempre più massive e vergognose di controllo sulle persone, dalle intrusioni capillari nella privacy dei cittadini allo scippo dei diritti basilari di popolo e di stato da parte delle oligarchie finanziarie transnazionali, dalla proletarizzazione incipiente, se non compiuta, del ceto forense, alla stipulazione di trattati commerciali transoceanici nella più totale segretezza e in spregio della tutela della salute pubblica e privata. Parliamo di priorità gigantesche tanto da derubricare il pericolo dell’odio a uno schizzo di guano di piccione sulla staccionata di un porcile. Ma questo è solo il primo motivo per cui indignarsi di fronte all’iniziativa del G7 forense. Ce n’è un altro ben più importante. Il cosiddetto hate speech e qualsiasi altra iniziativa concernente l’espressione verbale e scritta delle persone è, da sempre, una fenomenale scorciatoia per giustificare il controllo delle coscienze, della libertà di espressione, del diritto di parola. L’odio è un sentimento umano, né buono né cattivo. Esso può avere conseguenze nefaste, ma anche prodigiose. Dall’odio al nazifascismo è nata la resistenza, dall’odio verso i gulag è scaturita la perestroika, dall’odio nei confronti dei privilegi e della tirannide sono scaturite le grandi rivoluzioni della storia. Quando, però, l’odio viene introdotto nel corpus normativo di un ordinamento giuridico, come un male da debellare, allora siamo alla vigilia di derive totalitarie. Infatti, i significati di questa parola sono così elastici, talmente gommosi e plasmabili, da piegarsi ad ogni manipolazione, in primis a quelle finalizzate ad anestetizzare la dissidenza al Sistema. Ciò su cui avrebbero dovrebbero riflettere gli avvocati a Roma è il fatto che l’odierna campagna anti-odio è ideata, incoraggiata, sponsorizzata dalle stesse forze (in primis, i colossi del web) che controllano il mondo. Insomma, è un’esigenza fittizia sintetizzata abilmente nelle roccaforti della civiltà globalizzata, non un bisogno spontaneamente scaturito dal basso. L’uso della morale e dei sentimenti come grimaldello per attivare il silenziatore automatico di chi contesta il Potere è uno dei punti chiave del romanzo distopico 1984 (laddove il Grande Fratello aveva istituito proprio il ‘Minamor’, cioè il Ministero dell’Amore) e anche di alcune teocrazie attuali (in Iran la libertà di parola è un concetto sconosciuto e a vigilare ci sono i “Guardiani della Morale”). E al G7 di Roma ci voleva una bella arringa in difesa di chi odia quelli che odiano l’odio.
2 Commenti
DANILO FABBRONI
24 Settembre 2017 a 10:50…..per piacere un Suo parere sulla similarità o meno del Teorema Calogero e del cosiddetto concorso esterno in associazione mafiosa…. grazie
saluti Danilo Fabbroni
Francesco
27 Settembre 2017 a 19:43I fenomeni da lei citati riguardano il legislatore (per quanto concerne il reato di concorso esterno) e la magistratura (per quanto concerne il teorema citato). Nel caso di cui al mio post, invece, parliamo di una iniziativa dell’avvocatura che denota come gli organi di vertice della stessa siano sintonizzati su questioni non solo non prioritarie per l’universo Giustizia, ma addirittura insidiose per la tenuta di una società democratica e sedicente “liberale”.