Per i comici, i vignettisti, gli umoristi e persino per chi, con tutta umiltà, cerca di tenere un quotidiano diario dei tempi che corrono usando (anche) il registro dell’ironia, la vita si fa dura. Capita sempre più spesso – e gli appartenenti alle categorie di cui sopra potrebbero senz’altro testimoniarlo – che un commento sarcastico, una battuta salace, una facezia palesemente fittizia inneschino non solo reazioni divertite o incazzate (com’è ovvio che sia per il destinatario della presa in giro), ma anche seriosissime e pertinenti. Reazioni di lettori che faticano a discernere tra dato di realtà tratto dalla cronaca e parto di fantasia frutto di una birichinata d’autore. Ma la colpa non è di chi legge e neppure di chi scrive. Semmai, è della realtà stessa. Ecco, sì, la colpa è della realtà che si è fatta così sideralmente grottesca da oltrepassare persino le invenzioni di una burla satirica. Vedi il Partito Democratico. Persino i suoi elettori, oramai, ne hanno colto il ruolo storico: fungere da cinghia di trasmissione della grande finanza e del padronato globale e farsi garante di ogni vergognosa riforma strutturale concepita per penalizzare i lavoratori. Infine, portare a termine l’opera di destrutturazione delle nostre peculiarità nazionali e delle ultime vestigia democratiche della Repubblica fondata sul lavoro: la stessa resa celebre in tutto il mondo da una Costituzione di cui è allo studio, da anni, il fine vita. Una sublime nemesi (una trasmutazione di tutti i valori che neanche Nietzsche avrebbe saputo immaginare) ha trasformato l’erede del grande partito dei lavoratori italiani nell’impresa di pompe funebri destinata a tumularli. Così, i pronipoti degli antichi Compagni hanno abolito l’articolo 18, hanno introdotto il jobs act, hanno istituzionalizzato il precariato di massa, hanno inventato i vaucher, li hanno tolti per impedire un referendum e li hanno rimessi per fottere i suoi promotori. Nel frattempo, tutti i padri nobili della sinistra italiana hanno persino cessato di rivoltarsi nella tomba in quanto un po’ stanchini. Ma al PD non basta. Ora, vuole anche lo scalpo di chi sciopera. Lo sciopero non è più un diritto dei lavoratori, ma una rottura di coglioni per i consumatori cioè, in ultima analisi, per i pusher che a costoro procacciano i consumi, vale a dire catene multinazionali della distribuzione, great corporations et similia. Adesso, eccovi un po’ di ideuzze estratte dal calderone riformista dei dem: se intende scioperare, un lavoratore dovrà rilasciare una preventiva dichiarazione di adesione; lo sciopero potrà essere proclamato solo dalle sigle sindacali maggioritarie mentre i cobas saranno tenuti a indire un referendum preventivo cui dovrà partecipare almeno la metà dei lavoratori interessati; le assemblee lavorative non dovranno mai comportare l’interruzione di pubblico servizio. Come dire: scioperate pure, basta che non creiate fastidi all’utenza (che, poi, è la quintessenza di uno sciopero). Ecco, se aggiungessimo alla lista di cui sopra la previsione di un cucchiaio di olio di ricino a danno del lavoratore che pronuncia la parola ‘sciopero’ senza autorizzazione scritta del direttore del personale, potremmo anche esser presi sul serio. Ci hanno tolto persino la possibilità di scherzarci sopra. Si rischia di veder trasformata una cazzata in disegno di legge. Il PD, in materia, vuole sempre il copyright.
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