I tremendi fatti di sangue delle ultime settimane – tipo un padre che spacca il cranio a martellate ai due figli piccoli o il ragazzo fatto a pezzi per una questione di avances alla fidanzata – induce a meditare sulla cosiddetta ‘cronaca nera’. Non già sul fenomeno in sé, bensì sullo spazio mediatico che gli è riservato. Provate a monitorare un telegiornale del mattino e vi accorgerete con quale seriale e meticolosa frequenza esso divulghi notizie di crimini efferati. In mancanza di delitti, ci sono gli incidenti raccapriccianti e – se latitano questi ultimi – soccorrono surrogati consimili. Sembra quasi che il sistema dei media di massa non sia tanto, e solo, interessato ai dettagli macabri delle pessime notizie, ma addirittura se ne voglia far promotore in vista di un qualche obiettivo messo in agenda. E ci riferiamo a telegiornali mandati in onda in ore di massimo ascolto, come quella della colazione. Si potrebbe obiettare: se la notizia è pessima, la colpa non è del giornalista che la fornisce, ma del delinquente che la provoca. Non ne siamo così convinti. Spesso non è il fatto a cercare la notizia, ma la notizia a cercare il fatto. È la grammatica del giornalismo di ogni tempo – direte – da che è nata la prima gazzetta. Può darsi. Eppure, nella scansione metodica e mirata con cui oggi le brutalità sono pubblicizzate, è difficile non cogliere un non so che di sinistro e indefinibile. In quanto indefinibile, non lo definiamo, ma possiamo ben cercare di estrarne la quintessenza indagando una gamma di possibili spiegazioni: dalla semplice regola aurea del giornalismo d’antan (il male fa più audience del bene) a un effetto collaterale di un’epoca buia (tempi cupi producono fatti cupi) alla maliziosa e diligente volontà di spargere nell’aria le spore di cattivissimi sentimenti come la paura, l’angoscia, il dolore, la sofferenza, il sadismo (c’è una regia dietro le quinte?). L’ultima prospettiva è la meno documentabile e più inquietante, ma non per questo la meno credibile. E non ci riferiamo ovviamente a oscuri complotti, ma all’emergere di un comune sentire collettivo, di un indifferenziato fascino del male che parimenti intacca chi fa la scaletta di un tiggì e chi se la sorbisce. Quasi si trattasse di un latente e perverso bisogno, di una incivile urgenza sociale di cui i grandi players della comunicazione globale si fanno (inconsapevoli?) intercettori. Un’applicazione, sul piano morale, della legge economica di domanda e offerta. Qualcosa del tipo: diamoci oggi la nostra dose di male quotidiano, di droga emotiva. Occhio, perché essa dà assuefazione, ci inquina le giornate e, quindi – una iniezione via l’altra – l’intera esistenza. È difficile non cogliere un nesso tra questo spaventoso e debordante liquame impulsivo e pre-conscio e le ‘ragioni’ incomprensibili di talune esplosioni di follia. Ed è terribile pensare all’effetto di certi materiali sulla psiche dei nostri bambini. Ma possiamo ancora difenderci, almeno un po’, rendendo intenzionalmente impermeabili le nostre case alle ‘pizze’ pronta consegna del Terrore Giornaliero: tasto off del telecomando nelle ore di punta della nostra vita. Opponiamo un nostro schermo ai veleni dei loro schermi.
Nessun Commento