Avrete notato l’enorme importanza attribuita dai media generalisti e dal coro unificato delle reti televisive alla cosiddetta festa della donna. Come in una sorta di rito tribale, il tam tam ipnotico è partito alle prime ore dell’alba e le ultime flebili eco si sono spente solo a notte inoltrata: dai tigì agli spettacoli di intrattenimento, dalle rubriche sportive a quelle di economia, è stato un diluvio di informazioni, per lo più inutili e noiose, sull’opportunità – sul dovere! – di festeggiare degnamente la ricorrenza. Facciamoci una domanda e proviamo a darci una risposta: perché? Perché il distributore automatico dell’Umore Unico Universale è così intensamente impegnato, negli ultimi anni, a diffondere questa ‘sensibilità’ di genere? Insomma, perché diavolo la tutela e la promozione del concetto di ‘donna’, del sesso femminile, delle sue rivendicazioni – belle e giuste a prescindere – trova tanto plaudente sostegno? E perché diamine lo spacciano gli stessi ambienti che, per esempio, sono europeisti e odiano i populisti, inneggiano all’unità globale e detestano le specificità locali, decantano le virtù liberoscambiste e promuovono la mobilità dei lavoratori? Una ineluttabile mobilità al ribasso: dello stipendio, dei diritti, delle certezze elementari. C’è un nesso tra queste febbrili passioni, apparentemente diversificate e scollegate tra loro? Eccome se c’è. Esasperare il culto di un ‘genere’ (quello femminile, nella fattispecie) a discapito dell’altro significa assecondare una polarizzazione innocua per la Matrice, cioè per il Sistema economico-finanziario-mediatico oggi debordante. L’uomo ha necessità delle polarizzazioni come dell’aria che respira; egli è una sorta di macchina naturalmente calibrata per ragionare in termini di contrapposizioni dialettiche, da sempre: vecchi e giovani, uomini e donne, guelfi e ghibellini, Montecchi e Capuleti, destra e sinistra, Coppi e Bartali, Juve e Inter. Le menti umane tendono a spaccarsi su qualsiasi argomento per sfinirsi poi in logoranti battaglie di trincea. Ora, ci sono dicotomie forti e dicotomie deboli. Le prime sono quelle destabilizzanti per lo status quo, in grado di favorire la maturazione di avanguardie minacciose per le incrostazioni dei Poteri politici/economici costituiti. Pensiamo alle divisioni sociali del secolo scorso da cui gemmava la famosa ‘coscienza di classe’. Oppure alla frattura odierna tra europeisti e sovranisti. Queste sono linee di faglia che rischiano di rivelarsi esiziali per i ceti dominanti, per le burocrazie delle elites. E infatti le bocche di fuoco della propaganda di regime cercano in tutti i modi di soffocare nella culla i conati divisivi in grado di minare le fondamenta della Macchina Del Comando. Al contrario, vi sono grumi di coscienza antagonista del tutto inoffensivi che, proprio per la loro sostanziale irrilevanza, vengono assimilati e promossi dal Sistema coma la mozzarella di bufala campana. Sono D.O.M., a Denominazione di Origine Manipolata. L’apoteosi della donna celebrata l’otto marzo – il mito artificioso della revolucion rosada e la lunga marcia dei media al motto di La mujer unida jamas sera vencida – rientrano a pieno titolo in questa dinamica: una micidiale arma di distrazione (delle coscienze) di massa.
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