Renzi ha ragione quando dice che il futuro, prima o poi, torna. Solo che lui è andato a cercarlo dalla parte sbagliata del mondo. Ha preso l’aereo e si è diretto a Ovest verso l’Ammmerica di Cupertino e Steve Jobs. Invece, doveva virare a est e sbarcare nella Grecia di Zorba. Lì il futuro che ci attende è già arrivato, un po’ come i botti di capodanno di Sidney che gustiamo in televisione mentre da noi ci si fa belli per il cenone di San Silvestro. Intanto che il premier spende il suo tempo a rinvigorire i suoi sogni provinciali e adolescenziali diamo un occhio a cosa bolle in pentola nell’Ellesponto dove si parla della legge Katseli che priverà dei diritti pensionistici, dell’assistenza sanitaria e della casa i cittadini non in regola con il fisco. Questa mostruosità, accolta con un’alzata di spalle dai liberal chic, è solo l’ultimo, e non definitivo, esito di una tragica discesa nei meandri dell’Evo Competitivo. Non solo ci hanno convinti che uno stato democratico, per sopravvivere, deve ‘produrre’ come un allevamento di polli in batteria. Non solo ci hanno persuasi che la sussistenza di una comunità civica si regge non sulla Costituzione, ma sul rapporto debito-pil. Adesso, tentano lo scacco matto: chi non produce e non paga, non va neppure curato, se malato, o mantenuto, se vecchio, o dotato di un tetto sotto cui campare. Di fronte all’enormità di certi eventi, non crediamo sia più possibile mettere in campo (solo) la politica o l’economia. Forse è il turno dell’etica e della trascendenza. Mentre Renzi si trastulla coi balocchi della Silicon Valley, in un paese europeo (il primo di una lunga serie, se non fermiamo i manovratori) si consuma una tragedia con un nome ben preciso: tradimento della patria. Perché una classe politica che oltrepassa la soglia dell’umanità, minima ed elementare, pur di compiacere i creditori del proprio popolo ed è disposta a consegnarlo, quel popolo, a una banda di banchieri e istituzioni sovranazionali, questo sta facendo: tradisce la patria. So che il concetto suona vetusto, ma c’è un perché. I traditori della patria sono, nella visione infernale di Dante Alighieri, i peccatori più spregevoli, collocati nel nono cerchio dei gironi inframondani dopo i lussuriosi, i golosi, gli avari, i prodighi, gli iracondi, i violenti, gli accidiosi, i ruffiani, gli adulatori, i simoniaci, gli ipocriti, i ladri, i falsari e i seminatori di discordia. Per l’autore di un’opera immortale, quello è il peccato supremo che merita il supremo castigo. E non è un fuor d’opera evocarlo se è vero, come è vero, che gli studiosi della Divina Commedia non mancano mai di esaltarne la sconcertante attualità. Oggi nessuno crede più nell’aldilà, figurarsi nell’inferno. Eppure, anche solo sapere quale sarebbe il destino ultraterreno di certi soggetti – nel caso in cui il sommo tra i poeti avesse avuto non solo un certissimo genio letterario, ma anche la sicura prescienza delle cose future – ci infonde una singolare, per quanto vana, consolazione. Il futuro, prima o poi, torna. Di qua, o di là.
Nessun Commento