Qualcuno si è accorto che gli alunni delle scuole italiane non sanno più scrivere nella loro lingua madre, anzi diciamolo meglio: i loro genitori non sanno più scrivere nella lingua madre mentre i figli studentelli li seguono a ruota manifestando un’ignoranza abissale quando si tratta di esprimersi nell’idioma di Dante. La denuncia sottoscritta da centinaia di docenti fotografa un fatto vero e tutti hanno cominciato a interrogarsi sulle cause. Ve ne proponiamo alcune mentre il ministro si spreme le meningi dopo aver detto, con sprezzo del ridicolo: “Mi do quindici giorni di tempo, poi partirà il primo avviso pubblico per le competenze di base”. Ecco, signora ministra, partiamo da qui che facciamo prima. Intanto, non faccia partire circolari. Resti ferma. Respiri a fondo. Così, bene. Rifletta. Rifletta. Rifletta. Vede che la soluzione comincia a venire a galla? Il problema di fondo non sta nelle poche circolari, ma nelle troppe circolari, non nelle poche nozioni, ma nelle troppe nozioni. Chiunque abbia la ventura, magari in quanto genitore, di imbattersi nei programmi di studio delle elementari di oggi, rimane traumatizzato dalla quantità inusitata di conoscenze propinate dai poveri maestri nelle zucche dei loro alunni: un profluvio di informazioni, soprattutto di carattere tecnico-scientifico e di taglio pratico-operativo, chiaramente sproporzionate rispetto all’età anagrafica, alle possibilità cognitive, ai bisogni di apprendimento di un bambino. Poi, crescendo, la situazione non migliora. I ragazzi arrivano alle scuole superiori e vengono incoraggiati, per usare un eufemismo, a scegliere indirizzi di studio di carattere tecnico-scientifico e di taglio pratico-operativo in cui la lingua base non è l’italiano, ma un impasto imbastardito di inglese, neologismi e tecnicalità. Nel frattempo, lo studente sfoga la sua creatività narrativa e letteraria sui social dove è costretto a sintetizzare i concetti complessi in centoquaranta-caratteri o a veicolare i propri stati interiori con le emoticons di facebock. In questa orgia di nozionismo pseudoscientifico e di codificazione simbolica la lingua italiana si perde. Nessuno più studia e insegna i classici. Il greco e il latino – in quanto lingue morte – le hanno seppellite, un giovane il quale ambisca al liceo classico è guardato come un minorato mentale col fegato di fare outing. Distrutta la radice umanistica della nostra tradizione culturale e scolastica, taluni si stupiscono del decesso dell’italiano corrente, e decente. Ma gli ignari docenti in buona fede e gli sdegnati ministri di turno non realizzano neppure di remare contro il corso della storia e di costituire il dito nel buco di una diga in procinto di crollare. Infatti, i giovani infarciti come dizionari e inabili al pensiero critico, alla retorica, alla dialettica, alla grammatica e alla sintassi non rappresentano un sottoprodotto involontario della matrice. Ne sono, anzi, il frutto maturo e più compiuto. Il futuro non vuole gente in grado di padroneggiare il linguaggio perché chi padroneggia il linguaggio padroneggia il pensiero, chi padroneggia il pensiero padroneggia se stesso, chi padroneggia se stesso non si fa padroneggiare. Il futuro vuole servi tonti, non padroni intelligenti: ecco il punto. Dante si era sbagliato: fatti non fummo per seguire virtute e canoscenza, ma a viver come bruti.
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