Corte Costituzionale con sentenza 265 del dicembre 2016, Antitrust con parere del maggio 2014 e del luglio 2015, Autorità dei trasporti con parere del giugno 2015, Consiglio di Stato con pronunciamento del maggio 2016. Tutti insieme appassionatamente, gli organi succitati – teoricamente deputati all’applicazione della legge e alla tutela dei diritti dei cittadini – hanno sancito che le normative regionali volte a frenare il fenomeno del trasporto privato di Uber sono un’indebita interferenza. Quella roba lì, la concorrenza, è materia esclusiva dello Stato. Di cosa stiamo parlando? Di una App, una applicazione informatica, che consente agli utenti di ottenere passaggi a pagamento da privati qualsiasi non rientranti nel novero dei classici taxi o consimili, abilitati al trasporto con conducente. Di cosa stiamo parlando? Di un modo tecnologico per bypassare le autorizzazioni, i nulla osta, le concessioni e le garanzie di un intero settore in precedenza regolamentato. Di cosa stiamo parlando? Di una pre-figurazione del futuro. Un futuro in cui qualsiasi mestiere sarà fruibile tramite App (gestite e lucrate da un Paperone di turno) destinate a scatenare una concorrenza spietata tra poveri, a mettere in ginocchio i lavori tradizionali, a costringere intere categorie sulla strada per prostituire le proprie qualifiche al miglior offerente (al ribasso). Poi arrivano Ferrara e il Foglio del Lunedì e ti spiegano, ammiccando da un titolo Trendy&Renzy: è la competitività, bellezza! Grazie, capo, lo avevamo capito. Adesso, però, ci interessa quel filo sottile, quasi invisibile, che lega i provvedimenti delle Super-Mega-Maxi-Autorità-Della-Legalità da cui abbiamo preso le mosse, il referendum renziano e il presente in cui ci stanno rottamando (come persone, come cittadini, come lavoratori). Perché i numi tutelari della correttezza costituzionale avversano le Regioni, quando esse emanano leggi locali protettive dei lavoratori (oggi i tassisti, domani magari gli avvocati e i panettieri)? È semplice: per lo stesso motivo per cui la riforma Boschi riconduceva molte competenze regionali sotto l’egida e il cappello dello Stato. Il loro obiettivo ultimo è assecondare i vettori di marcia della Storia. E quei vettori vogliono più precarietà e meno benessere per tutti e una concorrenza spietata dove a vincere è sistematicamente il più forte: chi possiede la fatidica App, per restare in tema. Dunque, riportare le competenze legislative che contano (quelle in materia di lavoro, ad esempio) sotto l’ombrello statale significa una più sollecita e solerte obbedienza alle direttive e ai regolamenti di Bruxelles che ispirano l’ottanta per cento delle nostre leggi; quindi, in ultima analisi, una prona sottomissione alla Matrice da cui Bruxelles – a sua volta – prende ordini: e cioè gli oligopoli privati del business, incontrastati signori e padroni dell’agorà economica e dunque politica nella misura in cui il dato politico è divenuto una escrescenza putrescente di quello economico. Nell’era della divinizzazione della competitività l’unico soggetto meritevole di salvaguardia è il Mercato, mentre i prevaricati di sistema sono i Fantozzi della middle-class. Le Corti di Alta Giustizia e i loro succedanei e affini sorvegliano affinché non un solo boccone sfugga alla bocca affamata del mostro. Burp! Salute.
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