La tempra morale di un paese non si misura tanto dalle azioni, o dalle omissioni, della sua classe dirigente, ma dalle reazioni dei sostenitori, degli oppositori, dei testimoni teoricamente neutri (costituiti dalle grandi televisioni e dalla stampa nazionale) di quella stessa classe dirigente. Pensate al celebre annuncio renziano (facilmente reperibile su youytube https://www.youtube.com/watch?v=jYJvR50Jljo): se perdo, lascio la politica. Era un impegno di enorme rilievo a cui nessuno lo aveva obbligato, assunto liberamente davanti ai propri elettori e al popolo italiano. Tutto sommato, poteva rappresentare davvero una svolta epocale nel modo di intendere la politica e segnare un solco (positivo) nella storia recente. Alla buon’ora! Un leader non solo ha gli attributi per giocarsi l’intera carriera al casinò di un appuntamento elettorale, ma poi – perdendo – mantiene la promessa. E invece niente. Renzi non ha perso, ha stra-perso la sua partita eppure è ancora qui, tra Pontassieve e Roma, a tessere la sua trama di politicante bramoso del potere e della cadrega. Cioè l’esatto contrario dell’etichetta stilnovista che egli adora appiccicare a se stesso. Ma il problema – vedete – non è Renzi e neppure la sua patetica bugia. Dopotutto, ci abbiamo fatto il callo. Il problema non sono le sue azioni o omissioni. Il problema – un enorme, mastodontico problema morale – ce l’ha il partito in cui Renzi milita, ce l’hanno i suoi oppositori e ce l’ha l’intero circuito dei media. Quanto al PD, possibile non vi sia un dirigente – ma che dico – un funzionario, un ragazzotto di periferia con il coraggio di far sentire la sua voce per dire a quell’uomo che se ne deve andare dal Palazzo? Che deve ritirarsi dalla scena. Si dedichi a qualsiasi hobby, ma egli ha il dovere morale, l’imperativo categorico di tener fede al giuramento fatto agli italiani. E non, beninteso, perché sia conveniente per l’Italia (per taluni perderemmo un grandissimo uomo di stato), o per i suoi avversari. Solo perché è conveniente, anzi indispensabile, per lui medesimo e per il suo decoro personale. Insomma, per una elementare questione di rispetto della parola data, per lanciare un segnale forte alle vecchie e nuove generazioni: siamo perlomeno approdati in un’epoca in cui chi giura qualcosa, poi anche la fa. Ma, a quanto pare, il partito di Renzi ha relegato la questione morale ai santini di Berlinguer. È stupefacente come la faccenda della dignità individuale, collettiva, di partito e di popolo, per i piddini non si ponga proprio. È fuori dai loro radar. Una lezione al contrario per i nostri giovani su un punto dirimente del tessuto civile di una comunità: la coerenza. Ebbene, per il più grande partito italiano la coerenza non solo non è la prima dote richiesta e imposta a un leader, ma non è neanche l’ultima; è un’insignificante orpello retorico, uno zuccheroso confetto su un Tiramisù di frottole. Renzi dovrebbe essere inchiodato alle sue responsabilità. Ma anche tra i movimenti d’opposizione o tra i giornalisti e gli opinionisti di punta nessuno s’è sentito in dovere di passare all’incasso di quella cambiale renziana. Siamo talmente intossicati dall’incoerenza e dall’impostura che la perdoniamo non solo ai nostri migliori amici, ma anche ai nostri peggiori nemici. Paese di cazzari.
Nessun Commento