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GLOBAL Y VERTICAL

TRISTELa Brexit e il successivo fiume di commenti funziona anche da cartina di tornasole per una radiografia del sentimento del tempo. Se la chiamate aria che tira va bene lo stesso. Possiamo riassumerla, all’ingrosso, così: gli opinionisti più titolati del reame ragionano in termini globali orizzontali, ovvero geografici, di estensione, mentre i rarissimi bastiancontrari lo fanno in termini globali verticali, ovvero spirituali, di profondità. Sempre di globalizzazione parliamo ma, a seconda di come la intendi, tutto dipende. Prendiamo i primi, quelli per i quali la Brexit è una jattura, un cataclisma tipo l’uragano Katrina. Essi ci vedono l’incomprensibile allergia del popolo gonzo nei confronti della Progredita Civiltà. E cioè di una Terra indifferenziata, sciolta in un coagulo insapore di tradizioni, religioni, razze e persino generi sessuali indefiniti, senza barriere, senza confini, senza memorie. Un melting pot signoreggiato da mercati ultracompetitivi e abitato da cittadini cosmopoliti danarosi, interconnessi, multilingue, trendy & easy, giovanili poliglotti temprati sull’incudine dell’Erasmus per i quali ogni metropoli è paese giacché tutte si somigliano nelle opportunità offerte agli eclettici talenti del secolo ventuno. Tale è la mappa del mondo di un Riotta, di un Severgnini, di uno Scalfari. Dalle loro torri di platino il futuro è fast & fashion, e la sua sky line è il brulicare di guglie eccellenti di una favolosa mondialità globalizzata crepitante di occasioni succulente quanto le mele dell’Eden. Ergo, chi vota Brexit è un rozzo stalliere bisognoso dell’amministratore di sostegno quando si approssima all’urna. Chi ragiona in termini globali verticali, invece, non è così smart, ma forse è meno pirla, perché diffida dei territori colonizzati dai razziatori dell’evo competitivo. Eppure, egli ha comunque una visione globale, da intendersi nel senso di complessiva, sistemica, filosofica, anche se non geografica. Il suo sguardo si volge non alla materialità visibile degli spazi, ma alla immaterialità delle idee e ne decifra l’invisibile sottostruttura malata, la scheletro marcescente dello scintillante mondo di sopra. Il pensatore verticale non ragiona in termini parcellizzati, settoriali, segmentati, ma olistici. Per lui il problema vero non è il contingente rialzo o calo del punto di pil o del differenziale di spread, ma quello di un mondo privo di umana sensatezza, dove l’economia e la finanza hanno spodestato la politica e, in ultima analisi, proprio l’umanità. Ciò gli consente di cogliere lo stato di avanzata corruzione della macchina, ma la sua denuncia cade nel vuoto, perché i megafoni della macchina sono al servizio della globalità orizzontale e dei suoi stolti cantori.

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