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LA PAZIENZA DI JOBS

GIOBBECi sono delle volte in cui accadono dei fatti così esemplari da lasciarti senza parole. E senza speranza. E questi fatti, e le parole sottese dure ad uscire, hanno a che fare con la tutela dei diritti elementari delle parti più deboli della nostra società competitiva. Il mutismo indotto scaturisce soprattutto dalla consapevolezza di appartenere a quella classe, definita forense (gli avvocati) che sarebbe elettivamente chiamata, per vocazione naturale (direbbe un prete), a tutelare gli interessi e le posizioni dei non iscritti alla squadra vincente dell’odierno campionato mondiale del turbocapitalismo globalizzato, cioè al flop team dei perdenti di default, coincidenti grossomodo, e più sì che no, con i lavoratori salariati. Ebbene, una volta tanto, forse per sbaglio, i giudici supremi del nostro Stato di (antico e nobile) diritto, i cosiddetti Ermellini della Suprema Corte di Cassazione, hanno deciso pro homine anziché pro pecunia. In altri termini, hanno stabilito che l’eliminazione delle garanzie contro il licenziamento in tronco perpetrata dal jobs act vale per i lavoratori privati, ma non per quelli pubblici. Eureka! Una mezza vittoria è sempre meglio di un sconfitta integrale, dirà il giurista con la toga che si fregia del titolo di avvocato. Insomma, non sarà un trionfo, perché i privati sono pur sempre esposti alle tagliole della flessibilissima riforma del Governo dei Pre-poteri forti, ma intanto portiamo a casa la pagnotta per quelli che lavorano nel pubblico impiego. Mica basta, ti obietta il forbito giurista, anzi il forbito giuslavorista: c’è una palese discriminazione (dichiarazione rilasciata alla stampa nazionale). Caspita, è vero!, pensa l’ingenuo lettore, nel senso che anche i privati meriterebbero le cautele imposte dai sommi giudici der palazzaccio a favore dei pubblici. E no, amici cari, i giuslavoristi italiani intendono esattamente il contrario. Se cavoli amari han da essere, cavoli amari siano per tutti, privati e pubblici. La discriminazione non sta nel fatto che i dipendenti del capitale privato hanno una garanzia in meno di quelli della mano pubblica, ma nel fatto che i secondi hanno una garanzia in più rispetto ai primi. Resoconto delle puntate precedenti: viviamo in un sistema in cui non solo i deboli sono sistematicamente fottuti e i forti sistematicamente se ne fottono, ma i supposti difensori degli uni parteggiano per gli altri o comunque si battono affinché l’iniquità non sia prerogativa riservata di pochi, ma privilegio generalizzato di tutti. Ecco dove la matrice ha vinto: nell’inculcare un’idea di eguaglianza al contrario. Portate pazienza, ma tutti i poveracci debbono essere ugualmente soccombenti davanti alla legge (del più forte). In conformità all’articolo tre della Costituzione.

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