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CUCINARE, OBBEDIRE, COMBATTERE

CREDEREForse c’è un motivo profondo, e profondamente in sintonia con lo spirito dei tempi, che giustifica il fenomeno ormai planetario del successo dei format sull’arte culinaria. Com’è noto, il piccolo schermo, alle ore canoniche, ma anche a quelle più impensate, perfino notturne, trabocca di cuochi e affini, rigurgita impasti, mastica ricette, e, soprattutto, trasuda di competizioni all’ultimo sangue tra concorrenti affamati di successo. Ci sono spiegazioni banali che sono altrettanto banalmente vere: la culinaria è un arte, nella cucina l’uomo sublima il proprio istinto creativo, c’è un’estetica delle pietanze e magari anche una filosofia del boccon d’oro. Va tutto bene, e dio ci guardi dal mettere in discussione i punti fermi dei fanatici della padella e dei cultori del tegame. Però, andando un po’ sotto alla crosta del sufflè ci sono almeno due ragioni altre che possono farci capire meglio non perché abbiano successo i programmi del tipo cuochi e fiamme, ma perché mietano consensi adesso, in questa specifica epoca storica. La prima è che essi riguardano un’attività (il mangiare), un organo (la pancia), un processo (la digestione) che attengono alla dimensione universale e oggi assolutamente dominante del consumo. La seconda è che i format in questione vanno quasi sempre in coppia con la dinamica della gara. Ci sono questi partecipanti, tesi e ansiosi, che si prostrano davanti al vippissimo chef di turno per sapere se sono stati nominati o se passeranno al turno successivo. Ci troviamo di fronte alla declinazione, in chiave ludica e mediatica, delle due stelle polari di questo mondo bidimensionale: il consumo e la competitività. Devi consumare, da un lato, e gareggiare dall’altro. Digerire, consumare, gareggiare. Sintesi sublime, in tre verbi, delle pretese di un’era che ha tradotto in modalità intestinale il fascistissimo motto credere, obbedire, combattere. Fermo il contenuto sostanzialmente autoritario di entrambi gli slogan, notate come le ultime esortazioni di ambedue siano grosso modo sovrapponibili (gareggiare e combattere), mentre nelle prime si gioca la differenza più significativa. Nel ventennio, per spronarci, mettevano in campo le categorie dello spirito e dell’intelletto; oggi, quelle del fegato e del pancreas.

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