Sono stato in banca. Mentre aspetto dò un occhio all’arredo. A parte i tramezzi, a parte lo spreco di vetri, alcuni satinati per discrezione, mi ha colpito l’area d’attesa per i clienti così contigua e prossima a quella di lavoro per i dipendenti. Anche qua, niente più barriere, gli sportelli non esistono. Mica come una volta che entravi e trovavi una specie di muro del pianto o quantomeno un bancone dove interloquire con un impiegato addetto alla cassa e, intanto che aspettavi, facevi la fila. Adesso i muri materiali sono vietati (mentre quelli sociali vanno via come il pane, ma questo è un altro discorso). Dunque, mentre si attende il proprio turno seduti, che si fa? Si ascolta, ovvio. Solo che ora non ascolti più solo le beneamate tirate sul tempo e sulle stagioni e sulle porcherie del governo come in ogni altra saletta d’attesa del mondo, quei posti dove si parla di tutto purché quel tutto sia sufficientemente general generico o abbastanza pubblico da non impegnare né il particolare né il privato di qualcuno. Si chiamano luoghi comuni proprio per questo, sia in senso proprio che in senso figurato. Posti dove si riuniscono capannelli di persone tra di esse sconosciute che debbono impegnare lassi di tempo esigui, magari facendo commarò su discorsi comunemente banali e per niente impegnativi. Adesso, no. Adesso, in una banca hai la possibilità di auscultare i cavoli degli altri. E che cavoli! Mica roba qualsiasi, proprio quella più intima, quella di cui la gente in genere parla meno volentieri in piazza, e che se la gioca alla pari col sesso, diciamo: lo stato delle finanze di famiglia. Allora vedi questi poveri disgraziati protesi davanti al consulente, ingobbiti per celare i connotati, che si sforzano di sospirare sottovoce per spiegare a quanto ammonti il loro gruzzolo e quale parte vorrebbero investirne in quale obbligazione senza rischi. E il consulente, a sua volta, parla piano, ma senza esagerare perché poi c’è il collega della garitta a fianco che, in ogni momento, potrebbe alzarsi e chiedergli una gomma o la penna o un’idea da brainstorming. In questa sorta di gabbia senza sbarre, il cliente in attesa che può fare? Ascolta. Felice di averla scampata, che quella mattina deve solo ritirare dei contanti allo sportello. Fa i conti a mente per capire se per caso sforerà la soglia critica che poi magari il direttore lo segnala all’ufficio antiriciclaggio. Intanto che si aggiusta il cravattino, soddisfatto, registra, en passant, senza sforzo, il saldo contabile mensile di quello alle prese col consulente. Tira un sospiro di sollievo e lo compatisce, ma mica tanto poi. Prima o dopo, je tocca anche a lui. Perché la filosofia sottotraccia di tutta la faccenda risiede in una domanda: hai forse qualcosa da nascondere? E allora perché ti fai le inibizioni? Avanti tutta verso una società senza segreti, dove tutti gli sfigati che vorrebbero nascondere qualcosa di piccolissimo non possono, mentre quelli che devono nascondere qualcosa di grande ci riescono alla grandissima. Grazie alla privacy.
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