Forse ci vuole più filosofia e meno economia. Finora abbiamo dato briglia sciolta agli economisti e ci troviamo dove ci troviamo, non è che si stia poi così bene. Gli economisti dominano l’universo della crisi e partoriscono le ricette che dovrebbero contrastarla. E della crisi non si vede la fine. Peter Praet, capo economista della BCE, belga, si è accorto di un fatto che, se lo denuncia uno di noi, si becca una querela per vilipendio alla Sana e Robusta Costituzione dei Paladini della UE: “L’euro non funziona”. L’ha detto dall’alto della sua seggiola e del ruolo che riveste e a chi gli obbiettasse perché lui può e noi no, risponderebbe, piccato: “C’è chi può e chi non può. Io può”. E avrebbe ragione, ma tanto mica cambierebbero le cose. Perché gli economisti si muovono all’interno di un sistema che, in sé e per sé, non può funzionare. Quindi suggeriscono sistematicamente le ricette sbagliate. Infatti, il loro paradigma di riferimento è quello di un mondo strutturato su una perversione non sostenibile: per sopravvivere, esso deve consumare sistematicamente di più. Quindi Praet, anche se ha sotto gli occhi la solare evidenza di una verità di fatto, si ostinerà a coltivare le soluzioni errate che, però, mantengono in vita il sistema di cui egli rappresenta il vertice apicale. Se Praet fosse la Siora Maria impegnata a fare un tiramisù con il pepe e l’aceto, e tu gli dicessi che il dolce, così, vien su male, lei ti risponderebbe che il tiramisù, con certo pepe e aceto, non funziona, poi andrebbe a bottega e ordinerebbe del pepe e dell’aceto di marca diversa. Non c’è niente da fare, aveva ragione Einstein. Non puoi cambiare un sistema di problemi muovendoti all’interno dell’orizzonte di senso che quel sistema ha creato. Non puoi fare il tiramisù con l’aceto e col pepe. Cambiare marca intensifica il conseguente rigetto intestinale. Ma Praet non è un filosofo, è un economista. Avvezzo, pertanto, ad assecondare un mondo dove l’intestino è l’unico organo dotato di una sua dignità. È l’intestino che consuma, mica il cervello, ed è il consumo che alimenta la crescita, mica un’idea. Non a caso, altri economisti di riferimento, di quest’era in disfacimento, quelli di Standard & Poors, gente con un QI doppio rispetto alla media, hanno suggerito al buon Peter di suggerire al suo boss di raddoppiare il quantitative easing portandolo da 1,2 a 2,4 trilioni di euro. Il tutto (cito da una fonte attendibile) nella speranza che “il cavallo cominci a bere, gli investimenti salgano e la disoccupazione scenda”. Economisti sono, che volete farci. Superchef del tiramigiù. Un filosofo farebbe due obiezioni. Come può reggersi un mondo tarato su una crescita senza fine? Aumentando le bocche? Ma se gli economisti dicono che siamo in troppi sul pianeta! Allora aumentando la capacità delle bocche di ingurgitare roba. Ma se quelle bocche hanno le tasche vuote per l’austerity! C’è un modo di dire, tra lorsignori, molto evocativo: nonostante gli sforzi della Banca centrale, il cavallo non beve. Un filosofo di media levatura risponderebbe che non è tanto il cavallo a non bere, sono i maiali che non mangiano e non mangiano perché di acqua (di grana) vengono riempiti i trogoli (le banche) e non i maiali che dovrebbero abbeverarvisi. Ma non c’è via d’uscita perché gli economisti, ben che vada, continueranno a suggerire di aumentare il getto, così come la Siora Maria fuor di cranio dell’esempio seguiterebbe a inzuppare d’aceto il suo dolce. Prendiamola con filosofia, allora. Accontentiamoci di decifrare le metafore. Se vi state chiedendo che ruolo giochiamo noi nella storia, a quale delle due bestie citate gli economisti pensano quando ci pensano, sappiate che non sono i cavalli.
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