La chiesa di oggi, dicono gli ultramodernisti, deve essere ispirata da un afflato inclusivo. Dentro tutti, che c’è posto, tanto il nocciolo della fede è più nano di un protone. È il resto che conta. Extra ecclesia nulla salus, dicevano gli ortodossi pre-conciliari. Oggi, il motto potrebbe essere aggiornato così: intra ecclesia nulla. Nella Chiesa di oggi, ma soprattutto di domani, non ci sarà più nulla perché il suo vero paradigma non è un afflato inclusivo, ma un afflato implosivo. Ogni atto, ogni rito, ogni annuncio della Chiesa del terzo millennio va, inesorabilmente, in questa direzione: lo smantellamento incruento dei mattoni del fortino vaticano. Pensiamo alla messa. Se da tanto non ci andate, fateci una capatina. La messa andrebbe studiata, ci dovrebbero fare delle tesi di laurea in sociologia della comunicazione o in psicologia della noia, magari. La messa uscita dal Concilio di Giovanni XXIII e Paolo VI è probabilmente il più noioso format di raduno di massa mai concepito. Essa è strutturata nei tempi, nei ritmi, nelle formule in modo da favorire scientificamente il disincanto spirituale e l’aridità interiore. Se siete nel novero di coloro che si ostinano a credere nel Gesù storico e nel Cristo trascendente, dovreste chiedervi perché accedere alla Sua Casa, al Suo Tempio, debba trasformarsi in una esperienza così povera di spirito. E non parliamo della povertà di spirito del figlio del falegname. Parliamo di una pena, di una inclinazione eccentrica dell’animo, un desiderio di essere altrove, un bisogno di annullare certe simbologie da ritardati, tipo l’uso insistito della metafora puerile, l’impiego di strumenti musicali da taverna alpina, le patetiche canzoni da festivalbar. Di sicuro, l’oblio della lingua morta latina e dei canti corali ha inferto un colpo letale a ciò che rendeva attraente il rito cristiano: l’essere una porta di accesso al mistero, l’innescare nei fedeli l’esigenza di un sapere esoterico, di un percorso irrazionale, dove la mente si spegne e si accende quel ‘salto logico’ inammissibile, ma indispensabile, di cui parlava Kant quando parlava di Dio. Bene, andate a messa e ascoltate questi preti rivolgersi ai pochi astanti come a dei bambini deficienti. Hanno abbassato il linguaggio rasoterra imitando quello da babbei non scolarizzati dei tg di punta. Ci trattano da idioti perché, se non lo siamo, siamo destinati a diventarlo. O affinché capiamo, una volta per tutte, che andare a messa è un’impresa titanica da cui è meglio sottrarsi. Tanto, la ditta è in liquidazione, e nelle mura delle sue filiali non troverete chi vi è già stato espulso da tempo. Tutto il resto è noia. Per paradosso, solo chi onora la pratica domenicale merita, giusto per questo, di definirsi Cristiano, tanto è lo spirito di sacrificio e di sopportazione di cui deve armarsi per resistere fino alla fine. Ite, missa est.
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