Quanto è mondano questo pontefice, quanto è universale. All’Onu ha discettato su tutto, dai negoziati con l’Iran sul nucleare all’ecologia dei paesi in via di sviluppo, dalle modalità di gestione del Consiglio di sicurezza alle procedure di creazione del consenso nelle Nazioni Unite. Si è assai applicato all’ambiente. Dritto, lui. Se oggi non lo fai, ti mettono in croce, indottrinati come sono al coevo Culto di Gaia, della Madre Terra. Un culto non solo nuovo, ma affratellante, in grado di disciogliere il pluralismo delle religioni nella monolatria per la biosfera sacralizzata. L’ambiente, in questa visione, si impone sull’uomo. È il capovolgimento della primazia di Adamo sull’Eden, fondamento logico e cronologico delle tre religioni più praticate.
Non sorprende che a Bergoglio stia così a cuore. La forma e la sostanza della civiltà globalizzata lo eccitano e gli sollecitano la smorfioseria. La stessa che gronda dai suoi carezzevoli inciampi linguistici da papa ‘bbono. Il capo supremo della Chiesa, l’asceso al soglio di Pietro, quando incespica sul verbo o si mastica un sostantivo, fa sempre tenerezza. E lui è il papa, auto proclamatosi, della tenerezza. Wojtyla solleticava il buonumore dei fedeli, il dì dell’elezione, esortandoli così: “se sbaglierò mi corigerete”. Con Bergoglio, la propensione episodica alla zeppa verbale non si è arrestata alla sera in cui un presago fulmine crepitò sulla sommità del cupolone, ma si è dilatata a dismisura, tipo un elastico da bungee jumping. Il papa continua deliberatamente a dondolarsi e a sbagliare, non solo nell’uso di un idioma non suo, ma anche nella tempistica con cui interviene e nelle modalità con cui comunica. È certo più un fattore estetico che etico, com’è normale per chi privilegia, di gran lunga, l’uno rispetto all’altro. Lui non incede, solenne, piuttosto ancheggia e ammicca sul crinale della storia, zufolando in cima a plaudenti cortei, come il pifferaio di Hamelin. Ogni tanto gli scappa un gesto, un sorriso, una battuta e dal ‘Tempio cattolico’ si stacca una chiave di volta o la raggiera di un tabernacolo. Il suo paradosso non è nel piacere tanto, ma nel piacere troppo. Anche coi suoi predecessori straboccavano di credenti gli stadi che le piazze non contenevano. La differenza è che lui li riempie di non credenti. Profani che vi si rispecchiano perché il tipo è così, come dire, comprensivo, oltre che comprensibile, un onnivoro semplificatore. Incamera problemi e restituisce soluzioni. Chi sono io per giudicare? “Tu sei il Vicario di Cristo” gli risponderebbe un bambino del catechismo anni cinquanta. Va pur detto: un pontefice altrettanto allineato alle quattro password di un’intera epoca non si era mai visto. Di prassi, i presuli di bianco vestiti sono trasversali al loro tempo o, addirittura, con esso configgenti. Attirano odio, non amore e dispensano e incassano scomuniche con pari nonchalance. È inevitabile per gli epigoni coronati di una monarchia fondata da un uomo Dio che esortò ad essere nel mondo, ma non del mondo. Agli occhi dei cristiani, fino alla parusia del Salvatore, chi ne fa le veci non potrà essere simpatico ai reggitori del globo. A meno che. A meno che sul trono ci capiti, per una di quelle svolte cruciali dettate dalla Provvidenza divina o dalla Premeditazione avversaria, un papa sedotto dallo spirito del tempo e ad esso conforme, perfetto per assecondare l’abbrivio di una nuova età e per agevolarne il travaglio. Questo è un papa aruspice. Prefigura, e nel contempo evoca, l’inerte precipitazione degli eventi in una new age immanente e trascendente che sia, nel primo caso imperiale e a-nazionale, e nel secondo ambientalista e a-religiosa. Conta sfrondare le differenze, annacquare le distinzioni, piallare le tradizioni, unificare, accorpare, stemperare. La reductio ad unum è la cifra dell’Evo Competitivo, a qualsiasi livello, dall’ecumenismo esasperato delle confessioni religiose all’internazionalismo ossessivo delle strutture statuali. Non a caso, nel suo applauditissimo discorso all’Onu, egli ha insistito sul “superamento delle distanze e delle frontiere”, e delle “ideologie nazionalistiche” oltre che sulla già richiamata eresia ecologica. Tutto il resto si sfarina sullo sfondo, dai dogmi di fede ai capisaldi dell’etica. Ma a Francesco non importa. È troppo impegnato a condurre le sue pecore fuori dall’ovile per preoccuparsene. E le ovazioni dei lupi, al suo passaggio, lo mandano in sollucchero. Se Giovanni Paolo II è un campione della storia, il suo erede odierno, per ragioni diverse, se non opposte, ne è un fuoriclasse sul quale è dura trovare un aggettivo adeguato. Salvo rispolverare un evergreen vaticano come sommo. Sommo sembra ideato per lui, per questo papa grande e grosso, metaforicamente parlando, che occupa tutti gli spazi come l’elio con i palloncini. E li gonfia, li espande e vi si accomoda col sorriso da curato di campagna, la bonomia da actor studio, quella erre moscia impastata di esse floscia che sapora di poveri natali e di arguzia sudamericana. Furbo, è furbo e veloce, è veloce, come Speedy Gonzales. E la Chiesa fatica a stargli dietro, intanto che lui la smantella, un tocco alla volta, manco fosse una costruzione di Lego Chima. Ma ci sta. Bergoglio non è più, forse non lo è mai stato, un papa. È un leader a tutto tondo del global united think, del Pensiero Unico Condiviso. Ne è il pontifex. Gradito al gotha planetario perché viene e parla in suo nome (al netto della retorica pauperista, impiegata da specchietto per gli allocchi) e in nome della pace universale. Esattamente il contrario di Cristo che disse di essere venuto a portare la spada e non la pace, con ciò riferendosi non alle arti belliche, ma a quelle spirituali e della fede. Il Cristo è stato e sarà sempre pietra di scandalo e contraddizione rispetto ai valori pagani e alle pretese universalistiche dell’Impero. Tutti i suoi successori sono chiamati a non sanare l’oscena inconciliabilità, ma a rimarcarla, semmai. Se ti cali in quel ruolo, forte di un’investitura divina, il tuo accessorio da viaggio sarà la ferula, non la ventiquattrore da travet. Anche se quest’ultima è più mediatica e cool della prima. Il pope venuto dalla fine del mondo, invece, impugna il borsello con la disinvoltura minimalista di un impiegato del catasto. Ma della compiacenza, in quanto papa, non te ne dovresti curare perché non solo non puoi piacere. Non devi piacere. Soprattutto, non puoi piacere a questo Sistema di cose. E invece lui piace e invoca, a ogni piè sospinto, più Sistema per tutti. Allora due sono le spiegazioni: o è finito per sbaglio nel posto sbagliato. Oppure ha la missione di giustiziare, una volta per tutte, quello giusto.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
Nessun Commento