Format di una notte di mezza estate. Da un canale locale, la trasmissione di un festival della musica dove una matrona di colore, forse una grande cantante moderna, preannuncia al pubblico di una città del Nordest italiano, forse Vicenza, la sua personale interpretazione di una delle più belle canzoni di sempre, Imagine dei Beatles. Più bella di sempre se ti affidi alla musica e se, non masticando l’inglese, ti lasci ammaliare da parole straniere e suggestive. Ma la matrona commette un errore: parafrasa il testo della hit, e, in un crescendo di enfatica retorica, ti spiega quanto più bello sarebbe il mondo se si riducesse a un unico villaggio senza più differenze. Ti traduce anche, piuttosto bene, l’inno dei fab four che cappottarono la storia della musica nei favolosi Sessanta. Tu ascolti e ti si gela il sangue nelle vene. Perché il testo di quella canzone è la straordinaria sintesi dell’epoca attuale o, quantomeno, di quella, peggiore, che verrà. La povera interprete, imbevuta di slogan come tanti colleghi di successo, seduce la platea invitandola a immaginare quanto sarebbe più pacifica l’Umanità, e più solidale e coesa, se divenisse davvero come John Lennon & Company avevano immaginato che fosse. Immagina un mondo senza nazioni, un mondo senza colori, un mondo senza religioni. E’ esattamente la meta che ci attende: una Terra scrostata dalle difformità, purgata da ciò che divide, uniformata in una melassa di costumi, pensieri e convinzioni, un globo dove le frontiere si sfarinano e le tradizioni si sfaldano e dove gli Stati cedono il passo a nuove, cosmopolite, elitarie entità, un mondo senza divinità diverse, con cittadini tutti uguali. Questo è il sogno di Paul McCartney e allora capisci che l’inno di una delle bande mitiche del rock, in verità, era solo la reazionaria anticipazione di oggi e non il rivoluzionario fenomeno beat di ieri. Era il jingle della civiltà unificata che sarebbe sorta alla fine della Storia. Proprio quella che si profila all’orizzonte. La prosperosa cantante, nel frattempo, gorgheggia le sue note nel cielo estivo e ti trovi a coltivare un pensiero obliquo: quanto meraviglioso è il suono di quel canto, tanto è orribile il Sogno che ti offre in pasto. Perché quell’Imagine sta diventando realtà. Una realtà senza colori, senza religioni, senza diversità. In una parola, ferma. Anzi, morta.
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