Ogni volta che vediamo il filosofo Massimo Cacciari in televisione ci coglie un mostruoso complesso di inferiorità. Cacciari parla sempre con un tale distaccato snobismo da indurti a relegare, seduta stante, gli astanti (conduttore, ospiti, contraddittori, pubblico e te medesimo) al rango di poveri analfabeti illetterati. È una sensazione strana, ma forse è la sensazione appropriata che, da che mondo è mondo, la gente normale sperimenta al cospetto del genio. Ogni volta che vediamo l’imprenditore Oscar Farinetti in televisione ci coglie un analogo moto di sbigottita ammirazione. Farinetti si esprime sempre con quell’erre lievemente moscia e con la consapevolezza dell’uomo d’impresa che ce l’ha fatta, sa perché ce l’ha fatta e vorrebbe spiegare alla politica, e al politico, il motivo per cui lui (l’Oscar) ce l’ha fatta mentre la politica e il politico non gliela faranno mai. Ecco, in questo Farinetti e Cacciari si somigliano: è del tutto evidente – da come si pongono, da come si esprimono, dai toni, dai modi, dai tic, dalla trattenuta alterigia di Cacciari nei confronti di un mondo troppo ignorante e troppo poco intelligente, dalla assertiva propositività di Farinetti rispetto a un mondo troppo ingessato e troppo poco intraprendente – che essi possiedono le risposte e vorrebbero darcele, ma noi – ahime! – non vogliamo starli a sentire e comunque non riusciremmo a capire. Ne discende che incappare in Farinetti e Cacciari insieme, nello stesso programma TV, è un bacio della buona sorte. È successo qualche sera fa dalla Gruber. C’è stato un attimo, parliamo di una ventina di secondi, non di più, imperdibile. Cacciari aveva appena elogiato i Cinque Stelle per la loro conversione a U sulla strada dell’europeismo e aveva asserito che, alla buon’ora, essi hanno compreso l’irreversibile ineluttabilità del progetto europeo (al cospetto del quale – mancava dicesse – persino lo Spirito del Mondo di Hegel è una caccola). Poi aveva preso la parola Farinetti il quale si era lanciato in uno dei grandi classici di Monsieur Laqualunque: le contrapposizioni politiche sono buone per la campagna elettorale, ma poi bisogna marciare tutti insieme, tutti uniti nella stessa direzione. Quindi, Oscar ha aggiunto una frase del tipo: “Io sono un imprenditore e sono per natura filogovernativo”; il tipo ha fiuto e necessità di riposizionarsi. A quel punto, Cacciari ha sghignazzato compiaciuto versandosi dell’acqua minerale come per dire: questa te la concedo, questa è una condivisibile banalità, innocua e trasversale. Ecco, in questo patetico siparietto – di complicità esibita tra il sommo filosofo e l’eccelso imprenditore – c’è tutta l’Italia di oggi e, probabilmente, anche di domani. Se Farinetti e Cacciari rappresentano la nostra punta di lancia, rispettivamente imprenditoriale e intellettuale, e se quella testè esposta è la summa del loro pensiero migliore (l’Europa Unida jamás será vencida, canterebbero gli Inti Illimani) allora forse è un bene che la gran parte degli italiani non sia alla loro ‘altezza’.
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